giovedì 19 aprile 2012

New Delhi lancia con successo il missile nucleare “China killer”

19/04/2012 08:45 INDIA da Asianews L’Agni-V è partito questa mattina alle 8:05 (ora locale) dall’Orissa e ha raggiunto in 20 minuti l’obiettivo prefissato, un punto al largo dell’Indonesia. Il direttore dei test lo ha definito “perfetto”. Con una gittata di oltre 5mila chilometri, il missile può raggiungere anche Pechino e Shanghai. Mumbai (AsiaNews/Agenzie) - Un successo: così il primo ministro indiano Manmohan Singh saluta il lancio di Agni-V, missile per il trasporto di armi nucleari a lungo raggio. Il razzo è stato lanciato da Wheeler Island (Orissa) questa mattina alle 8:05 (ora locale), e ha impiegato circa 20 minuti per raggiungere il suo obiettivo, un punto imprecisato al largo dell'Indonesia. L'arsenale di New Delhi si arricchisce così di un'arma già definita "China killer", perché capace di raggiungere le grandi città di Pechino e Shanghai grazie alla sua gittata di oltre 5mila chilometri. In origine, Agni-V avrebbe dovuto essere lanciato ieri, ma i tecnici hanno preferito ritardare i test per via del maltempo. Nel congratularsi con il personale della Defense Research and Development Organisation (Drdo), Singh ha dichiarato: "Il successo di questa prova rappresenta un'altra pietra miliare nella nostra ricerca di dare credibilità alla nostra sicurezza e preparazione, e per continuare a esplorare le frontiere della scienza". SP Das, direttore del test, ha definito il lancio di Agni-V "perfetto", perché "ha risposto a tutti i parametri e gli obiettivi che ci eravamo prefissati". Se i futuri test dovessero andare bene, l'India diventerà il settimo Paese ad avere missili balistici intercontinentali nel proprio arsenale, insieme a Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Cina, Francia e Israele. L'Agni-V è l'ultimo di una serie di missili che l'India ha iniziato a sviluppare nel 1983 e sono tra le armi più sofisticate. Il nome Agni deriva dal sanscrito ed era quello del dio indù del fuoco

mercoledì 18 aprile 2012

Soloviev e la religione antropocentrica dei no global sotto la lente di Biffi

di Carlo Meroni Non è affatto una sorpresa che il Cardinale Giacomo Biffi, durante gli esercizi spirituali al sommo pontefice e alla curia romana, abbia imperniato la sua riflessione sui profetici scritti di Vladimir Soloviev contenuti ne “I tre dialoghi e il racconto dell'anticristo”. Già nel 1991, durante il Meeting di comunione e liberazione a Rimini, ebbe modo di tenere una appassionata lezione sul medesimo tema, e nel 2005 pubblicò addirittura con Cantagalli un volume dal titolo “Pinocchio, Peppone, l'anticristo ed altre divagazioni”, in cui viene ampiamente trattata anche la tipologia di anticristo rappresentata dallo scrittore russo. Come “Il padrone del mondo” di Robert Benson, “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley e “L'abolizione dell'uomo” di C.S. Lewis, “Il racconto dell'anticristo” fa parte di quei romanzi scritti nella prima metà del XX secolo, e capaci di anticipare incredibilmente i contenuti e la società della seconda metà dello stesso secolo, oltre naturalmente all'inizio del secolo attuale . Questi autori hanno scritto così lucidamente e dettagliatamente su questioni che oggi stesso noi siamo sul punto di dover affrontare, altre nelle quali ci siamo appena immersi, ed altre ancora per le quali una immersione già prolungata negli anni ci ha resi ormai assuefatti allo stesso malsano liquido che ci avvolge. Il romanzo di Soloviev però rispetto agli altri può vantare una particolarità di non poco conto: è stato il primo, in quanto venne scritto attorno alla S. Pasqua del 1900, pochi mesi prima della morte del suo autore. Dopo aver fatto amabilmente colloquiare ne “i tre dialoghi” i suoi personaggi sul male e sulla lotta contro di esso sia in guerra che in pace, Soloviev mette tra le mani di uno dei personaggi (il Signor Z.) un vecchio manoscritto donatogli da un monaco e recante appunto questo “Breve racconto sull'anticristo”. Il Sig. Z., oltre che ai suoi compagni di salotto, lo legge così a tutti noi lettori. Già dall'inquadramento del contesto storico è incredibile leggere da uno scritto del 1900 che “il secolo XX sarà l’epoca delle ultime grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni... Dopo di che tutto sarà pronto perché perda di significato la vecchia struttura in nazioni separate e quasi ovunque scompaiano gli ultimi resti delle antiche istituzioni monarchiche..... Si arriverà così alla Unione degli Stati Uniti d’Europa”. Ma soprattutto è stupefacente la perspicacia con cui Soloviev descrive la grande crisi che colpirà il cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento, cosa che a partire dalle rivolte giovanili degli anni '60 in nome di un individualismo egoistico, che da allora ha sempre più segnato l’evoluzione del nostro costume e delle nostre leggi, grazie al rifiuto di ogni tipo di autorità, e con la progressiva destrutturazione della famiglia nucleo della società, si è puntualmente avverata. Ma se gli anni Sessanta e Settanta erano ancora carichi di confusione e polvere (anche da sparo...) creata dalla rivolta, e gli anni Ottanta sono serviti, con opposto disimpegno e varie futilità edonistiche, a far dimenticare quegli anni bui, dagli anni Novanta in poi è partita una nuova epoca. L'epoca dell'anticristo. Infatti, poco più di un solo decennio passato lasciandoci alle spalle le rivolte sessantottine, ci ha fatto credere che tutto il peggio fosse passato. E invece le forze che miravano alla distruzione del cristianesimo si stavano solo riorganizzando. Non con altre P38 e chiavi inglesi, ma molto più scaltramente ed approfittando dell'inebetito (dalla tv) uomo odierno, con doppiopetto e libri. Soloviev sapientemente raffigura nella icona dell’anticristo un personaggio affascinante e di ottima presenza che riesce grazie alle sue enormi doti di pensatore, scrittore, riformatore sociale a influenzare e a condizionare un po’ tutti. Inoltre viene descritto come un “convinto spiritualista”, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo. Infine, è anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea honoris causa di dottore in teologia presso l'università di Tubinga. Soprattutto, si dimostra un eccellente ecumenista, capace di dialogare “con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza”. Ma Soloviev ci ricorda però che quest'uomo “credeva nel bene, nel Dio, nel messia... ma non amava che se stesso”. In lui non è difficile ravvisare l’emblema della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni, più antropocentrica che cristocentrica, vissuta da un uomo che è stato capace di scalare le più alte vette della scienza e della tecnica ma che non riesce a scendere pochi centimetri nel profondo del suo cuore per trarne valori assoluti come il bene, il vero, il bello. Valori che sono vissuti correttamente solo se chi li percepisce e li ama, ama anche Cristo, perché Lui è la verità, la bellezza, la giustizia. L'anticristo invece avversava il “moralismo” che a suo dire era stato portato da Cristo, non accettava l'unicità di Cristo e soprattutto non poteva ammettere in alcun modo la verità del sacrificio della croce, la morte e soprattutto la Sua resurrezione in corpo e spirito. Egli, che nel frattempo viene chiamato da Soloviev “superuomo”, riesce a convogliare a sé un numero sempre maggiore di persone, e promettendo loro la pace universale e la prosperità per tutti, diviene prima presidente a vita degli stati uniti d'Europa, e poi assume il titolo di imperatore romano e regnante assoluto. L'uomo sembra aver trovato un nuovo Eden, ma un piccolo gruppetto di cattolici, ortodossi e protestanti riusciranno ad obiettare all’anticristo, poco prima della lotta finale: “Tu ci dai tutto, tranne ciò che ci interessa, Gesù Cristo”. Ecco quindi il punto sul quale il Cardinale Biffi, mediante Soloviev, vuole accendere le nostre riflessioni: stiamo correndo il rischio di avere un Cristianesimo annacquato che mette tra parentesi Gesù con il suo sacrificio per noi, la passione e resurrezione. E' naturale, come si è visto per la recente polemica sui DICO, che dei cristiani buoni per essere accettati in salotti e trasmissioni televisive sarebbero certo meno scomodi e ben più inseriti nella odierna società. Ma così si perderebbe il fine, che è sempre e solo Gesù e la sua realtà sconvolgente di Dio fatto uomo, morto per noi e risorto dalle tenebre per indicarci via verità e vita. Cristo non vuole farsi coinvolgere solo in una serie di buoni progetti o iniziative omologabili con la mentalità dominante, ma vuole tutto il nostro essere proprio come un amante appassionato. Ecco perchè, come ricordava Benedetto XVI, l'amore di Cristo per noi è un impasto di agàpe ed eros. C'è l'amore oblativo, ma c'è anche quello che attira l'amato verso di sé e ne è geloso. Ci sono valori come la solidarietà, l’amore per la pace, il rispetto per la natura, la disponibilità al dialogo con l'altro, che se assolutizzati sradicano o perfino si contrappongono all’annuncio della salvezza datoci da Cristo, pervertendosi così in istigazioni all’idolatria e ostacoli sulla strada della salvezza stessa. Ad esempio il pacifismo e la non-violenza, erroneamente confusi con gli ideali evangelici di pace e di fraternità, finiscono con l’arrendersi alla prepotenza, lasciando senza difesa i deboli e gli onesti. Se il cristiano quindi, per aprirsi al mondo e dialogare con tutti, preclude la sua connessione personale con Gesù, si ritrova dalla parte dell’anticristo. Ecco spiegato perchè i nostri politici sono stati ultimamente così contestati dalle gerarchie ecclesiali: il loro soggettivismo morale, che li induce a ritenere che sia lecito e perfino lodevole assumere in campo legislativo e politico posizioni differenziate dalla norma di comportamento alla quale personalmente ci si attiene, non è altro che la norma attuata dal “superuomo” di Soloviev. Mentre invece Gesù ci ricorda “non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa” (Mt 10, 34). ed ammonisce: “se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,53). Parole che avevano suscitato sconcerto tra i suoi discepoli. E commentando questo passo evangelico, Benedetto XVI riprende: “Di fronte al mormorio di protesta, Gesù avrebbe potuto ripiegare su parole rassicuranti: ‘Amici – avrebbe potuto dire – non preoccupatevi! Ho parlato di carne, ma si tratta soltanto di un simbolo, ciò che intendo è solo una profonda comunione di sentimenti’. Ma no, Gesù non ha fatto ricorso a simili addolcimenti. Ha mantenuto ferma la propria affermazione, tutto il suo realismo, anche di fronte alla defezione di molti suoi discepoli (Gv 6,66). Anzi, egli si è dimostrato disposto ad accettare persino la defezione degli stessi suoi apostoli, pur di non mutare in nulla la concretezza del suo discorso: ‘Forse anche voi volete andarvene?’ (Gv 6,67), ha domandato. Grazie a Dio, Pietro ha dato una risposta che anche noi, oggi, con piena consapevolezza facciamo nostra: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna’ (Gv 6,68)”. Concludo con la stupenda e veritiera definizione che lo stesso Cardinal Biffi ebbe per il grande scrittore russo Vladimir Soloviev: “Appassionato difensore dell’uomo e allergico a ogni filantropia; apostolo infaticabile della pace e avversario del pacifismo; propugnatore dell’unità tra i cristiani e critico di ogni irenismo; innamorato della natura e lontanissimo dalle odierne infatuazioni ecologiche: in una parola, amico della verità e nemico dell’ideologia. Proprio di guide come lui abbiamo oggi un estremo bisogno”.

L'Anticristo secondo Soloviev

Il Card. Biffi ci spiega, utilizzando la tesi formulata da Soloviev in un suo racconto, quale potrebbe essere il clima culturale in cui si afferma l'Anticristo: quello in cui il cristianesimo viene ridotto ad una serie di valori (pacifismo, ecologismo, ecumenismo, filantropismo...) negando però la persona divina di Gesù Cristo. Vladimir Sergeevic Solov’ëv VLADIMIR SERGEEVIC SOLOV’ËV nasce a Mosca il 16 gennaio 1853. Poeta, scrittore, filosofo e critico letterario, è considerato il più grande filosofo russo e l’“Origene dei tempi moderni”. “I tre dialoghi e il breve racconto dell’Anticristo” (di cui si parla in questa pagina) è il suo testamento spirituale dato alle stampe l’anno della morte (1900). Studioso dei Padri della chiesa e delle scienze occulte, delle teologie orientali e dei sistemi di tipo gnostico, Solov’ëv per Hans Urs von Balthasar è “autore della più universale creazione speculativa dell’età moderna, il pensatore che può essere considerato, accanto a Tommaso d’Aquino, come il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero”. Sull’anticristo e sul romanzo di Solov’ëv, il Cardinale Biffi aveva già svolto una dettagliata relazione il 4 marzo del 2000 in una conferenza organizzata dal centro Culturale E. Manfredini e dalla Fondazione Russia Cristiana. Il testo del suo intervento è stato poi riportato per intero nel libro “Pinocchio, Peppone, l’Anticristo” (Cantagalli 2005). In quell’intervento Ricordando le parole profetiche del filosofo russo, il Cardinale di Bologna aveva detto: “Soprattutto è stupefacente la perspicacia con cui (Solovev) descrive la grande crisi che colpirà il cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento, crisi che Soloviev vede come l'Anticristo che riesce a influenzare e a condizionare un pò tutti, quasi emblema, ipostatizzazione della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni. L'Anticristo un sarà 'convinto spiritualista', un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo”. E ancora, ironizzava il Cardinale Biffi, quell'Anticristo sarà “anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea honoris causa a Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare 'con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza'". Ma chi è l'Anticristo? Una potenza politica, religiosa, una persona influente? Non lo sappiamo, però siamo chiamati alla continua vigilanza. In tutto il Nuovo Testamento vi sono continui riferimenti alla figura dell'Anticristo e della sua incessante azione nel mondo per allontanare i Figli di Dio da Dio. Nella Seconda Lettera ai Tessaolnicesi, così l'Apostolo San Paolo descrive la figura dell'Anticristo: «Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell'iniquità è gia in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità». (2Ts 2, 3-12) L'apostolo Giovanni, nella sua Prima Lettera e nell'Apocalisse, riferendosi all'Anticristo lo descrive come colui che non riconosce che Gesù Cristo è Figlio di Dio negandone la divinità: «Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio». (1Gv 2,22) *** L’ammonimento profetico di Vladimir S. Soloviev Meditazione tenuta il 27 febbraio 2007 dell'arcivescovo emerito di Bologna Card. Giacomo Biffi durante gli Esercizi Spirituali quaresimali alla Curia romana e a Papa Benedetto XVI e pubblicata sul quotidiano "Il Foglio" del 15 marzo 2007. Alla fine del secolo XIX la mentalità più diffusa prevedeva per il secolo che stava per iniziare un avvenire di progresso, di prosperità, di pace. Già Victor Hugo, sul finire dell’Ottocento, aveva profetizzato: “Questo secolo è stato grande, il prossimo secolo sarà felice”. 1. Solov’ëv non si lascia contagiare da tanto laicistico candore e, nella sua ultima opera, “I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo”, datata alla Pasqua del 1900, pochi mesi prima di morire, prevede che il secolo XX sarà contrassegnato da grandi guerre, da grandi rivoluzioni cruente, da grandi lotte civili. Sul finire del secolo, i popoli europei – persuasi dei gravi danni derivati dalle loro rivalità – daranno origine, egli dice, agli Stati Uniti d’Europa “Ma… i problemi della vita e della morte, del destino finale del mondo e dell’uomo, resi più complicati e intricati da una valanga di ricerche e di scoperte nuove nel campo fisiologico e psicologico, rimangono come per l’addietro senza soluzione. Viene in luce soltanto un unico risultato importante, ma di carattere negativo: il completo fallimento del materialismo teoretico”. Ciò non comporterà però l’estendersi e l’irrobustirsi della fede. Al contrario, l’incredulità sarà dilagante. Sicché, alla fine si profila per la civiltà europea una situazione che potremmo definire di vuoto. In questo vuoto appunto emerge e si afferma la presenza e l’azione dell’Anticristo. 2. Più che la vicenda immaginata da Solov’ëv – nella quale l’Anticristo prima viene eletto presidente degli Stati Uniti d’Europa, poi è acclamato imperatore romano, si impadronisce del mondo intero, e alla fine si impone anche alla vita e all’organizzazione delle Chiese – mette conto di richiamare le caratteristiche che sono qui attribuite a questo personaggio. Era – dice Solov’ëv – “un convinto spiritualista”. Credeva nel bene e perfino in Dio, “ma non amava che se stesso”. Era un asceta, uno studioso, un filantropo. Dava “altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza”. Nella sua prima giovinezza si era segnalato come dotto e acuto esegeta: una sua voluminosa opera di critica biblica gli aveva propiziato una laurea ad honorem da parte dell’Università di Tubinga. Ma il libro che gli ha procurato fama e consenso universali porta il titolo: “La via aperta verso la pace e la prosperità universale”, dove “si uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche, una sconfinata libertà di pensiero con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico, l’assoluto individualismo con un’ardente dedizione al bene comune, il più elevato idealismo in fatto di principi direttivi con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni pratiche”. E’ vero che alcuni uomini di fede si domandavano perché non vi fosse nominato nemmeno una volta il nome di Cristo; ma altri ribattevano: “Dal momento che il contenuto del libro è permeato dal vero spirito cristiano, dall’amore attivo e dalla benevolenza universale, che volete di più?”. D’altronde, egli “non aveva per Cristo un’ostilità di principio”. Anzi ne apprezzava la retta intenzione e l’altissimo insegnamento. Tre cose di Gesù, però, gli riuscivano inaccettabili. Prima di tutto le sue preoccupazioni morali. “Il Cristo – affermava – col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi”. Poi non gli andava “la sua assoluta unicità”. Egli è uno dei tanti; o meglio – diceva tra sé – è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all’uomo di oggi. Soprattutto, non poteva sopportare il fatto che Cristo fosse vivo, tanto che istericamente si ripeteva: “Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro…”. 3. Ma dove l’esposizione di Solov’ëv si dimostra particolarmente originale e sorprendente – e merita la più approfondita riflessione – è nell’attribuzione all’Anticristo delle qualifiche di pacifista, di ecologista, di ecumenista. I. Già s’è visto che la pace e la prosperità sono gli argomenti del capolavoro letterario del nostro eroe. Ma sono idee che egli riuscirà anche ad attuare. Nel secondo anno di regno, come imperatore romano e universale, potrà emettere il proclama: “Popoli della terra! Io vi ho promesso la pace e io ve l’ho data”. E proprio a questo proposito matura in lui la coscienza della sua superiorità sul Figlio di Dio: “Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace”. A ben capire il pensiero di Solov’ëv su questo punto, gioverà citare quanto egli dice nel terzo dialogo per bocca del Signor Z., l’interlocutore che rappresenta l’autore: “Cristo è venuto a portare sulla terra la verità, ed essa, come il bene, innanzitutto divide”. “C’è dunque – dice Solov’ëv – la pace buona, la pace cristiana, basata su quella divisione che Cristo è venuto a portare sulla terra precisamente con la separazione tra il bene e il male, tra la verità e la menzogna; e c’è la pace cattiva, la pace del mondo, fondata sulla mescolanza o unione esteriore di ciò che interiormente è in guerra con se stesso”. Quanto al pensiero sulla guerra nel senso più comune e ovvio del termine, ricordiamo che il primo dei tre dialoghi solovëviani è tutto dedicato alla critica del pacifismo tolstojano e della dottrina della non-violenza. La guerra – vi si afferma – è certamente un male, ma bisogna riconoscere che, sia nella vita dei singoli sia in quella delle nazioni, si danno situazioni in cui alla violenza malvagia non basta rispondere con gli ammonimenti e le buone parole. Possiamo dire che, secondo Solov’ëv, mentre gli ideali di pace e di fraternità sono valori cristiani indiscutibili e vincolanti, tali non possono essere ritenuti il pacifismo e la teoria della non-violenza che finiscono col risolversi troppo spesso in una resa sociale alla prevaricazione e in un abbandono senza difesa dei piccoli e dei deboli alla mercé degli iniqui e dei prepotenti. II. L’Anticristo sarà poi anche un ecologista o almeno un animalista. Sono termini moderni che ovviamente Solov’ëv non usa; ma la sua descrizione è abbastanza chiara: “Il nuovo padrone della terra – egli precisa – era anzitutto un filantropo, pieno di compassione, non solo amico degli uomini ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a una severa sorveglianza; le società protettrici degli animali furono da lui incoraggiate in tutti i modi”. III. L’Anticristo infine si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare “con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza”. Convocherà i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane a “un concilio ecumenico da tenere sotto la sua presidenza”. La sua azione mirerà a cercare il consenso di tutti attraverso la concessione dei favori concretamente più apprezzati. “Se non siete capaci di mettervi d’accordo tra voi – dirà ai convenuti dell’assise ecumenica – spero di mettere d’accordo io tutte le parti, dimostrando a tutti il medesimo amore e la medesima sollecitudine per soddisfare la vera aspirazione di ciascuno”. Attuerà praticamente questo disegno, ridonando ai cattolici il potere temporale del Papa, erigendo per gli ortodossi un istituto per la raccolta e la custodia di tutti i preziosi cimeli liturgici della tradizione orientale, creando a vantaggio dei protestanti un centro di libera ricerca biblica lautamente finanziato. È un ecumenismo esteriore e “quantitativo”, che gli riuscirà quasi perfettamente: le masse dei cristiani entreranno nel suo gioco. Soltanto un gruppetto di cattolici con a capo il Papa Pietro II, un esiguo numero di ortodossi guidati dallo staretz Giovanni e alcuni protestanti che si esprimono per bocca del professor Pauli resisteranno al fascino dell’Anticristo. Costoro arriveranno ad attuare l’ecumenismo della verità, radunandosi in un’unica Chiesa e riconoscendo il primato di Pietro. Ma sarà un ecumenismo “escatologico”, realizzato quando ormai la storia è pervenuta alla sua conclusione: “Così – racconta Solov’ëv – si compì l’unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura su un’altura solitaria. Ma l’oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un vivido splendore e in cielo apparve un grande segno: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle”. 4. Qual è allora l’“ammonimento profetico” che arriva ai nostri tempi da questa specie di parabola del grande filosofo russo? Verranno giorni, ci dice Solov’ëv, quando nella cristianità si tenderà a risolvere il fatto salvifico, che non può essere accolto se non nell’atto difficile, coraggioso, concreto e razionale della fede, in una serie di “valori” facilmente esitabili sui mercati mondani. Da questo rischio dobbiamo guardarci. Anche se un cristianesimo che parlasse solo di “valori” largamente condivisibili ci renderebbe infinitamente più accettabili nei salotti, nelle aggregazioni sociali e politiche, nelle trasmissioni televisive, non possiamo e non dobbiamo rinunciare al cristianesimo “di Gesù Cristo”, il cristianesimo che ha al suo centro lo “scandalo” della croce e la realtà sconvolgente della risurrezione del Signore. Questo pericolo – vorrei aggiungere – nella società dei nostri tempi non è puramente ipotetico. Don Divo Barsotti ha detto una parola tremenda, ma di attualità incontestabile: in molte proposte, in molte iniziative, in molti discorsi delle nostre comunità – egli afferma – Gesù Cristo è una scusa per parlare d’altro. Il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico Salvatore dell’uomo, non è “traducibile” in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. E’ una “pietra”, come egli ha chiaramente detto di sé – e come noi raramente abbiamo il coraggio di ripetere –: su questa “pietra”, o (affidandosi) si costruisce o (contrapponendosi) ci si va a schiantare: “Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà” (Mt 21,44). 5. Qualche chiarificazione a questo punto si impone. È indubitabile che il cristianesimo sia prima di ogni altra cosa “avvenimento”; ma è altrettanto indubitabile che questo avvenimento propone e sostiene dei “valori” irrinunciabili. Certo non si può, per amore di dialogo, sciogliere il fatto cristiano in una serie di valori condivisibili dai più; ma non si può neppure disistimare i valori autentici, quasi fossero qualcosa di trascurabile. Occorre dunque un discernimento. Ci sono dei valori assoluti – o, come dicono i filosofi, trascendentali –: tali sono, ad esempio, il vero, il bene, il bello. Chi li percepisce e li onora e li ama, percepisce, onora, ama Gesù Cristo, anche se non lo sa e magari si crede anche ateo, perché nell’essere profondo delle cose Cristo è la verità, la giustizia, la bellezza. Ci sono valori relativi (o categoriali), come il culto della solidarietà, l’amore per la pace, il rispetto per la natura, l’atteggiamento di dialogo eccetera. Questi meritano un giudizio più articolato, che preservi la riflessione da ogni ambiguità. Solidarietà, pace, natura, dialogo possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. Ma se nella sua attenzione essi si assolutizzano fino a svellersi del tutto dalla loro oggettiva radice o, peggio, fino a contrapporsi all’annuncio del fatto salvifico, allora diventano istigazioni all’idolatria e ostacoli sulla strada della salvezza. Allo stesso modo, nel cristiano, questi stessi valori – solidarietà, pace, natura, dialogo – possono offrire preziosi impulsi all’inveramento di una totale e appassionata adesione a Gesù, Signore dell’universo e della storia; è, per esempio, il caso di san Francesco d’Assisi. Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene stempera sostanzialmente il fatto salvifico nella esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, consuma a poco a poco il peccato di apostasia, si ritrova alla fine dalla parte dell’Anticristo. 6. Nella prefazione a “I tre dialoghi” Solov’ëv racconta che, ai suoi tempi, in qualche governatorato della Russia aveva cominciato a diffondersi una nuova religione, che aveva estremamente semplificato la sua attività di culto. I suoi adepti “dopo aver praticato in qualche angolo buio nella parete dell’isba un buco di media grandezza… applicavano ad esso le labbra e ripetevano molte volte con insistenza: isba mia, buco mio, salvatemi!”. In questa incredibile aberrazione – nota Solov’ëv – c’era almeno il pregio di un uso corretto dei termini: “l’isba la chiamavano isba e il buco… lo chiamavano buco”. Nel nostro mondo c’è invece di peggio, continua implacabilmente il filosofo. “L’uomo ha perduto l’antica schiettezza. La sua isba ha ricevuto la denominazione di “regno di Dio in terra”; quanto al buco, si è cominciato a chiamarlo ‘nuovo vangelo’”. (Qui la polemica con Tolstoj è scoperta e addirittura feroce). Ma il cristianesimo senza Cristo e senza la buona notizia di una reale e personale risurrezione “è poi la stessa cosa di uno spazio vuoto, come un semplice buco, praticato in una isba di contadini”. In conclusione, a me pare che anche e soprattutto oggi siamo alle prese con la cultura della pura e semplice “apertura”, della libertà senza contenuti, del niente esistenziale. Questa è la più grande tragedia del nostro tempo. Ma la tragedia diventa ancora più grande quando a questo “niente”, a queste “aperture”, a questi “buchi” si attribuisce per amore di dialogo qualche ingannevole etichetta cristiana. Fuori di Cristo – persona concreta, realtà viva, avvenimento – c’è solo il “vuoto” dell’uomo e la sua disperazione. In Cristo, che è il plèroma del Padre, l’uomo trova la sua pienezza e la sua sola speranza.

nocensura.com: ESCLUSIVO - ECCO IL VERO OBIETTIVO DI MONTI: TROVA...

nocensura.com: ESCLUSIVO - ECCO IL VERO OBIETTIVO DI MONTI: TROVA...: *Aggiornamento 30/03/2012 - un utente ci ha segnalato che il Link dove è possibile scaricare il testo del trattato che istituisce il "MES" ...

martedì 17 aprile 2012

CRISI: MOGLIE DI UN IMPRENDITORE S'IMPICCA. "ERA PREOCCUPATA PER L'AZIENDA"

www.leggo.it
Martedì 10 Aprile 2012 - 17:10
VICENZA - La moglie di un imprenditore edile, una donna di 51 anni, è stata trovata morta stamani a Grumolo delle Abbadesse (Vicenza): si è impiccata ad un'altalena, probabilmente anche a causa delle difficoltà economiche della ditta del marito. I carabinieri hanno trovato uno scritto nel quale la donna ha spiegato il suo gesto, genericamente, con le difficoltà della vita. È stato poi il marito, proprietario di una piccola impresa edile, a raccontare ai militari che nell'ultimo periodo la donna era preoccupata per la crisi e le difficoltà finanziarie della sua azienda. La notte scorsa la signora è uscita di casa senza svegliare il marito e le tre figlie, di 24, 20 e 4 anni. Secondo la ricostruzione dei militari, ha quindi lanciato una corda attorno al sostegno dell'altalena nel giardino della sua abitazione di Grumolo, in via Roma, e si è impiccata. Quando il marito l'ha trovata, alle 7.30 di oggi, ha chiamato i soccorsi, ma non c'era più nulla da fare.

FISCO, UNA TASSA ANCHE PER SBARCARE SULLE ISOLE. IMU, POSSIBILE PAGARE IN 2 RATE


Martedì 17 Aprile 2012 - 15:19
ROMA - La commissione Finanze della Camera ha approvato il decreto fiscale e ha dato mandato al relatore, Gianfranco Conte (Pdl). Il testo passerà all'esame dell'aula di Montecitorio.

TASSA SULLO SBARCO
 Una tassa anche per sbarcare sulle isole: 1,5 euro a testa. La nuova imposta compare con il dl fiscale: è la tassa di sbarco sulle isole minori, di 1,5 euro a testa, residenti e pendolari esclusi. Lo prevede un emendamento di Dore Misuraca (Pdl) approvato oggi dalla commissione Finanze della Camera. La tassa è alternativa all'imposta di soggiorno e serve a finanziare interventi per il turismo, i beni culturali, l'ambiente e i servizi pubblici locali. Sarà riscossa dalle compagnie di navigazione.

IMU SULLA PRIMA CASA: SCELTA FRA DUE O TRE RATE L'Imu sulla prima casa potrà essere pagata, a scelta del contribuente, in due o tre rate. Lo prevede un emendamento di Gianluca Galletti dell'Udc, al dl fiscale, approvato dalla commissione Finanze della Camera. Secondo questa novità introdotta nel decreto il contribuente entro il 16 giugno, scadenza della prima rata, potrà decidere se pagare il 33%, e avere altre due rate (a settembre e dicembre), oppure pagare il 50% e avere una seconda e ultima rata a dicembre. La novità riguarda sempre l'Imu sulla prima casa e sulle pertinenze.

SCONTO PER GLI ITALIANI ALL'ESTERO I Comuni potranno agevolare, come una abitazione principale, la casa «posseduta da cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata». Lo prevede un emendamento del relatore al dl fiscale approvato dalla commissione Finanze della Camera

CRISI, SI SUICIDA NEOLAUREATA 28ENNE. L'ESCALATION: UNA VITTIMA AL GIORNO


WWW.leggo.it - Martedì 17 Aprile 2012 - 11:55
ROMA - «È sempre stata onesta, non ha mai cercato compromessi, si è sempre messa in discussione, troppo, e ci ha dato sempre il massimo...o forse no, perchè, ne sono certa, se non l'avessimo uccisa, tutti, ci avrebbe dato di più». È quanto scrive in una lettera al direttore del Quotidiano della Calabria la madre di Lucia, una ragazza di 28 anni, laureata in ingegneriagestionale, che si è tolta la vita il 4 aprile scorso lanciandosi dal balcone della sua abitazione a Cosenza. «Non si può banalizzare - aggiunge - e liquidare il suo gesto come un suicidio dettato dalla depressione... Lei sì, lei sì che si è sempre impegnata fiduciosa nei nostri insegnamenti, sicura che il merito avrebbe pagato. Laureata in ingegneria gestionale, in condizioni molto difficili, con il massimo dei voti, 110/110, si è trovata a doversi accontentare di un lavoro che non era il suo, poco retribuito, si è trovata a doversi prendere cura della sua piccolina di appena due anni, affrontando tutte le difficoltà che già conosciamo noi donne...e noi donne del sud. Aveva un solo difetto: portare un cognome anonimo e credere nella meritocrazia». La madre della ragazza suicida afferma poi che «lei non poteva vivere in quest'Italia asservita, e non poteva neanche allontanarsene, voleva semplicemente vivere nella sua Calabria, dov'era amata dai suoi innumerevoli amici. È una colpa da pagare a così caro prezzo? Se è così, giovani, andate via, andate via e abbandonate questa Terra, noi non vi vogliamo...E voi, mamme, non consentite che questo mostruoso Leviatano divori i nostri figli. Lottiamo insieme a loro, nella legalità, per i loro diritti, e chiediamo a testa alta ciò che è loro dovuto». Per il Presidente del corso di studi in ingegneria gestionale dell'Università della Calabria, Luigi Filice, il suicidio di Lucia è una «grande sconfitta per quella società che la mia università deve far progredire». «Assorbito il colpo, ripreso il respiro, resta l'immenso senso di impotenza - aggiunge - ma anche la rabbia e la volontà di impegnarsi ancor di più nello svolgere un lavoro che ci concede, ogni giorno, l'immeritato privilegio di vivere spalla a spalla con le generazioni future».

PESCATORE TENTA IL SUICIDIO È salito sulla sua barca, ha preso una corda, l'ha annodata attorno all'arco e ha tentato di farla finita, ma la piccola tettoia che copre la poppa ha lasciato intravedere ad altri pescatori quello che stava accadendo, così i colleghi sono intervenuti e l'hanno salvato. È accaduto a Porto Garibaldi, sui lidi di Comacchio (Ferrara). Il pescatore - riferisce la 'Nuova Ferrarà - proprietario di un piccolo peschereccio, da mesi non riusciva più a guadagnare il necessario per mantenere la famiglia, pagare il carburante e le bollette, e si è ritrovato sommerso dai debiti. I colleghi, oltre a salvarlo, sono intervenuti anche economicamente, riuscendo a mettere assieme diecimila euro per permettergli di pagare i debiti più urgenti.

UNA VITTIMA AL GIORNO 
Quello dei suicidi al tempo della crisi è un tema entrato ormai di prepotenza nelle cronache quotidiane nel nostro Paese. Ormai da tempo. Infatti, chiarisce il Secondo Rapporto dell'Eures, soltanto nel 2010 sono stati 362 i suicidi dei disoccupati, superando ulteriormente i 357 casi registrati nel 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 accertati in media nel triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), a riprova della correlazione tra rischio suicidario e integrazione nel tessuto sociale. Tra i disoccupati, informa lo studio, la crescita riguarda principalmente coloro che hanno perduto il lavoro (272 suicidi nel 2009 e 288 nel 2010, a fronte dei circa 200 degli anni precedenti), mentre meno marcato appare l'incremento tra quanti sono alla ricerca della prima occupazione (85 vittime nel 2009 e 74 nel 2010, a fronte delle 67 in media nel triennio precedente). La crescita dei suicidi dei disoccupati tra il 2008 e il 2010 si attesta complessivamente al 39,2% del totale, salendo al 44,7% tra quanti hanno perduto il lavoro. Considerando la sola componente maschile, l'aumento dei suicidi dei senza lavoro appare ancora più preoccupante (da 213 casi nel 2008 a 303 nel 2009 a 310 nel 2010), attestandosi a +45,5% tra il 2008 e il 2010, confermando così la centralità della variabile occupazionale nella definizione dell'identità e del ruolo sociale degli uomini, messo in crisi dalla pressione psicologica derivante dall'impossibilità di provvedere e partecipare al soddisfacimento dei bisogni materiali della famiglia

NE 2010 UNA VITTIMA AL GIORNO TRA GLI IMPRENDITORI 
La gelata economica ha i suoi effetti negativi non solo sul lavoro subordinato e sui 'senza lavorò ma anche anche nella sfera del lavoro autonomo, inducendo al suicidio anche molti artigiani, commercianti o comunque imprenditori 'autonomì: secondo l'Eures nel 2010 questi sarebbero stati ben 336, contro i 343 del 2009. Lo studio definisce infatti «molto alto il rischio suicidario» in questa componente della forza lavoro direttamente esposta all'impatto della crisi. In dettaglio, nel 2010 si sono contate 192 vittime tra i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) e 144 tra gli imprenditori e i liberi professionisti (sono state 151 nel 2009), costituite in oltre il 90% dei casi da uomini, confermando come tutte le variabili legate a fattori materiali presentino «indici di mascolinità superiori a quello già elevato rilevato in termini generali». Secondo lo studio però i rischi di suicidio nei momenti di difficoltà economica sarebbero più alti tra disoccupati e imprenditori, meno invece tra i dipendenti. Infatti, considerando l'indice di rischio specifico (suicidi per 100 mila abitanti della medesima condizione) sono i disoccupati a presentare l'indice più alto (17,2), seguiti con scarti significativi dagli imprenditori e liberi professionisti (10 suicidi ogni 100 mila imprenditori e liberi professionisti), colpiti dalle fluttuazioni del mercato e, come noto, dai ritardi nei pagamenti per i beni e servizi venduti (in primo luogo da parte della Pubblica Amministrazione) e dalla conseguente difficoltà di accesso al credito. Seguono i lavoratori in proprio (5,5) e chiudono la graduatoria del rischio i «più tutelati» lavoratori dipendenti (4,5). Soltanto di poco più alto, infine, l'indice di rischio suicidario degli inattivi (pensionati, casalinghe, studenti, eccetera). Lo spettro della povertà è anche alla base di numerosi atti estremi da parte di separati e divorziati, ambito che sarebbe a rischio suicidio 15 volte oltre la media soprattutto tra gli uomini. Non a caso, rileva l'Eures, nel 2010 si sono contati 33,8 suicidi ogni 100 mila abitanti separati o divorziati (66,7 tra gli uomini a fronte di 11,8 tra le donne). Assai distanziati i casi di suicidio che hanno riguardato i vedovi (8,6 casi ogni 100 mila abitanti, che sale a 35,5 tra gli uomini a fronte di 3,6 tra le donne) e, con ampio scarto, dai coniugati (4,2) e da celibi e nubili (4,1).

PROPOSTE POLITICHE DELL'ASSOCIAZIONE RICONQUISTARE LA SOVRANITA'



14. Combattere e sconfiggere prima il nemico vicino; poi il ne mico lontano
Due sono le fonti delle direttive culturali, giuridiche e politiche, obbedendo alle quali siamo giunti alla seconda morte della Patria: l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America.
Di quale fonte dobbiamo liberarci prima? 
Senza dubbio dell’Unione europea, per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, perché i vincoli statunitensi sono soprattutto di natura culturale e politica. Essi richiedono esercizio della sovranità e volontà di essere indipendenti, non sovranità (salvo i vincoli assunti nei confronti della NATO). Al contrario, l’Unione europea limita del tutto e ormai ha pressoché estinto la sovranità economica italiana. Sottrarci alle direttive “culturali” e alle pressioni politiche statunitensi è oggi giuridicamente (e quindi astrattamente) possibile. Invece, la sottrazione ai vincoli europei e la riconquista della sovranità economica implicano il recesso dai Trattati europei.
Senza recedere dai trattati europei, le norme di legge ordinaria che dovremmo emanare per sottrarci alla terribile crisi che è in corso e che comunque durerà fino a quando sarà stata riconquistata la sovranità, non possono essere validamente emanate nemmeno all’unanimità dal Parlamento Italiano. Su di esse prevarrebbe il diritto europeo, che, di fatto, si impone anche sulle norme italiane di rango costituzionale che disciplinano la materia economica.
In secondo luogo, non si può negare che nell’opinione pubblica il problema economico è avvertito in misura sensibilmente maggiore del problema militare e di politica estera. Soltanto una nazione che abbia risolto o abbia adottato i necessari provvedimenti per risolvere il problema economico può sperare di perseguire la piena indipendenza nel campo della politica estera e militare. E il problema economico si può risolvere soltanto recedendo dai trattati europei e prendendo una serie di provvedimenti necessari, che ora i Trattati europei ci impediscono di adottare.
In terzo luogo, risponde alla logica e all’esperienza storica che un paese economicamente sovrano, nel momento in cui adotta i provvedimenti necessari alla organizzazione, direzione e protezione del proprio sistema economico, si rende, in modo automatico, più indipendente o meno dipendente dalle grandi potenze che cercano di influenzarne la politica. Sovranità economica e liberazione sono la medesima cosa.
La storia italiana dal 1947 alla metà degli anni ottanta testimonia che prima che si fossero verificate limitazioni gravi alla sovranità economica, l’Italia ha tenuto, in politica estera, un atteggiamento più dignitoso e meno dipendente dagli Stati Uniti, nonostante la presenza di basi militari straniere sul proprio territorio.
Una proposta politica che sbandierasse e ponesse tra la priorità l’uscita dell’Italia dalla NATO sarebbe una proposta di nicchia e protestataria, non adatta a coagulare il necessario consenso e a far fronte alla grave minaccia che incombe sull’Italia.
Tutto ciò, ovviamente, non vuol significare che non si debba sostenere che nella prospettiva di lungo periodo le basi militari straniere debbano essere cacciate dal suolo italiano, riaffermando la piena sovranità sulla totalità del territorio nazionale, e che l'Italia debba uscire dalla NATO; né vuol significare che nella prospettiva di breve e medio periodo non si debba proporre che l'Italia debba suggerire e imporre alla NATO (che paradossalmente delibera le azioni con il consenso di tutti gli stati, salvo gli astenuti) di adottare strategie esclusivamente difensive e debba rifiutarsi di partecipare ad altre guerre di aggressione.
Significa soltanto che ci si colloca in una prospettiva realistica, consapevole che la riconquista piena della sovranità è un progetto di lunga durata, il quale impone di stabilire priorità. L'obiettivo non si realizzerà con declamazioni che pongono tutte le finalità sul medesimo piano, senza un ordine logico e strategico.
In ogni caso, è evidente che la eventuale implosione o comunque disintegrazione dell’Unione Europea e la riconquistata sovranità economica, e quindi la rinnovata indipendenza degli Stati Europei, sgretolerà o comunque metterà in crisi l’alleanza atlantica. Pertanto la lotta contro il nemico vicino è al tempo stesso una lotta contro il nemico lontano.
15. Recedere dai Trattati europei: i provvedimenti d’urgenza e le linee strategiche della politica economica italiana
Occorre dunque recuperare la piena sovranità economica. E per far ciò è necessario esercitare un atto di recesso, previsto, al ricorrere di determinate condizioni, dal diritto internazionale consuetudinario; e previsto esplicitamente dai Trattati europei, senza che esso sia subordinato ad una o altra condizione.
Peraltro, si deve essere consapevoli che – salvo l'ipotesi che si verifichino le circostanze previste dal diritto internazionale consuetudinario (rilevante mutamento delle circostanze; o addirittura sopravvenuta impossibilità di adempiere); ma allora vorrà dire che si sarà verificato un crollo dell'economia e non semplicemente una grave crisi – la procedura di sganciamento degli Stati prevista dal Trattato di Lisbona, la quale inizia con un atto di recesso, può durare due anni e prevede una negoziazione a conclusione della quale, pur in mancanza di un accordo, lo Stato recedente esce dall'Unione. Orbene, due anni sono ovviamente troppi se nel frattempo lo Stato recedente fosse costretto a rispettare i vincoli posti dall'Unione Europea, non potesse esercitare la sovranità in materia economica e restasse esposto al “giudizio dei mercati”.
Pertanto, deve essere chiaro che lo sganciamento, pur volendo formalmente utilizzare la procedura prevista dal Trattato di Lisbona, avverrà con provvedimenti di rottura dell'ordine giuridico dell'Unione Europea, che anticiperanno il recesso e che dovranno essere adottati un venerdì, dopo la chiusura della Borsa italiana, dal Governo (non dal Parlamento) e che dovranno contenere necessarie misure d'urgenza.
In particolare, il recesso dovrà essere accompagnato dall’immediato ritorno alla valuta nazionale e da un provvedimento volto ad impedire la fuga di capitali dall’Italia, che vieti tutti i trasferimenti di valuta e di titoli, nonché limiti e sottoponga a controllo i pagamenti.
Adottati i provvedimenti d’urgenza, si dovrà promuovere una politica volta a contenere le divisioni sociali e territoriali. Si imporranno: una autonoma politica economica espansiva; trasferimenti di risorse ordinari e straordinari nelle zone e alle categorie particolarmente colpite dalla crisi; il ripristino del controllo dei capitali e dei saggi di interesse interni; una ricollocazione all’interno della maggior parte del debito pubblico italiano, anche attraverso provvedimenti che impongano ai cittadini italiani, in proporzione alle attività finanziarie possedute, la vendita di titoli dei grandi intermediari finanziari e bancari, per l’acquisto a basso tasso di interesse, di titoli del debito pubblico italiano; una maggiore progressività della imposizione fiscale; la tutela ad ogni costo dell’agricoltura italiana, nei confronti delle imprese agricole straniere che possano pregiudicarla e nei confronti della grande distribuzione e dell’industria agroalimentare.
Investimenti strategici pubblici e convenzioni con multinazionali per la produzione in Italia di computer, telefonini, televisori e altri oggetti di consumo comune, assicurando alle imprese produttrici rilevanti quote di mercato; reintroduzione della stabilità del rapporto di lavoro vigente prima del cosiddetto Pacchetto Treu. Nazionalizzazione delle grandi banche e di alcune grandi assicurazioni ai sensi dell’art. 43 della Costituzione.
Sarebbe preferibile che l'uscita avvenisse nel medesimo contesto temporale dell'uscita di altre nazioni del sud Europa ed eventualmente dell'Europa dell'Est (ed è probabile che ciò accadrà), per rendere più agevoli le negoziazioni con l'unione Europea. L'importante è che sia chiaro che non si tratterà di un passaggio indolore e che lo scontro e il contrasto politico con la Germania ed altri paesi dell'Unione Europea sarà molto probabile: si verificherà se le parti non troveranno un accordo. La libertà ha, ed è bene che abbia, un costo.
 
Le analisi, sulle quali le proposte sono fondate, sono state pubblicate, divise per parti, su www.appelloalpopolo.it 
Fonte: vocidallastrada 

lunedì 16 aprile 2012

Hanoi: autorità e polizia assaltano un orfanotrofio cattolico, sacerdote in coma

16/04/2012 08:51
VIETNAM Da Asinews
 
di Trung Tin 
Il raid è avvenuto poco dopo la mezzanotte del 14 aprile. Devastata la struttura, bambini malmenati, ferito in modo grave p. Nguyễn Văn Bình, intervenuto a difesa dei piccoli ospiti. Egli è stato ricoverato privo di sensi, poi accolto in una sede della curia. I fedeli denunciano l’ennesima violazione alla libertà religiosa. 


Hanoi (AsiaNews) - Un gruppo di teppisti, con la collaborazione delle forze dell'ordine, ha assaltato un orfanotrofio cristiano di Hanoi, danneggiando l'edificio e malmenando anche i bambini ospiti del centro. I teppisti hanno ferito in modo grave un sacerdote, intervenuto a difesa delle piccole vittime innocenti; egli è stato ricoverato in un ospedale della capitale, privo di conoscenza per i colpi alla testa riportati durante il raid. La comunità cattolica locale denuncia l'ennesimo episodio di persecuzione operato con la connivenza delle autorità comuniste e si appella all'arcidiocesi e ai vertici della gerarchia ecclesiastica, perché denunci con forza la violazione dei diritti umani e della libertà religiosa nel Paese.
Testimoni raccontano ad AsiaNews che la mattina del 14 aprile scorso la polizia del comune di  Thủy Xuân Tiên e le autorità locali del distretto di Chương Mỹ, ad Hanoi, hanno inviato un gruppo di teppisti all'assalto di un orfanotrofio cattolico della capitale, l'Agape Family. La struttura è sostenuta dal lavoro di volontari cattolici e dal contributo attivo di p. Nguyễn Văn Bình, vicario della parrocchia di Yên Kiện, nell'arcidiocesi di Hanoi. Gli assalitori hanno potuto agire indisturbati, grazie alla copertura delle forze dell'ordine.
Secondo i racconti, poco dopo la mezzanotte i teppisti hanno tagliato l'energia elettrica del centro, poi hanno iniziato i lancio di pietre e oggetti per terrorizzare i bambini. Un vicino, in condizioni di anonimato, sottolinea che "hanno colpito anche l'altare della Madonna. Un bambino è stato trascinato via" e quando ha cercato di ribellarsi "lo hanno preso ripetutamente a schiaffi in faccia". In un secondo momento "sono intervenuti almeno 200 poliziotti" a sostegno degli assalitori nella devastazione dell'Agape Family.
Dopo aver saputo dell'attacco, p. Nguyễn Văn Bình è subito corso all'orfanotrofio ma è stato colpito più volte dai poliziotti con i manganelli. Egli ha subito gravi ferite alla testa (nella foto) ed è caduto in coma. In un primo momento è stato trasportato all'ospedale di Chương Mỹ, poi trasferito all'ospedale di Việt Đức, una struttura tedesco-vietnamita, in pericolo di vita. Nell'assalto sono stati feriti anche altri fedeli. Nel primo pomeriggio del 14 aprile il sacerdote è tornato alla curia arcivescovile di Hanoi, per essere curato in forma "strettamente privata".
Un parrocchiano spiega ad AsiaNews che p. Nguyễn era molto attivo nella cura dei bambini più disagiati. "Il governo - aggiunge - deve rispettarlo e incoraggiarlo nelle attività di caritativa. Al contrario, le autorità comuniste locali glielo hanno impedito e hanno distrutto l'orfanotrofio". Un altro fedele si appella ai vertici dell'arcidiocesi di Hanoi e al comitato di Giustizia e Pace della Chiesa vietnamita perché denuncino l'ennesimo episodio di violazione ai diritti dei cristiani nel Paese.
(Ha collaborato J.B. An Dang)

Papa: Giovanni Paolo II e la domenica della Divina Misericordia

15/04/2012 12:07
VATICANO da asianews

Al Regina Caeli, Benedetto XVI ricorda la festa istituita dal papa polacco e chiede a tutti i pellegrini di essere "testimoni della Divina Misericordia" nel mondo. Il saluto ai fedeli della Chiesa di S. Spirito in Sassia e del santuario di Łagiewniki, dove è vissuta santa Faustina Kowalska. La celebrazione della domenica segno della resurrezione di Gesù, in cui Egli "ci parla nelle Sacre Scritture e spezza per noi il Pane di vita eterna". La richiesta di preghiere per il 7mo anno del suo pontificato.


Città del Vaticano (AsiaNews) - È tutta intessuta di richiami alla Divina Misericordia e al beato Giovanni Paolo II la riflessione e i saluti che Benedetto XVI ha rivolto ai pellegrini in piazza san Pietro in occasione del Regina Caeli di oggi. Dal 2000, per volere del papa polacco, la seconda domenica di Pasqua è stata definita "festa della Divina Misericordia", seguendo una rivelazione di Gesù stesso a S. Faustina Kowalska, canonizzata nel 2000. Vale la pena ricordare che Giovanni Paolo II è morto proprio ai primi vespri della festa della Divina Misericordia, nel 2005.
Riferendosi al vangelo di oggi (Giov. 20, 19-31) e alle apparizioni di Gesù ai discepoli, il papa ha detto: "E' molto importante quello che riferisce il Vangelo, e cioè che Gesù, nelle due apparizioni agli Apostoli riuniti nel cenacolo, ripeté più volte il saluto «Pace a voi!» (Gv 20,19.21.26). Il saluto tradizionale, con cui ci si augura lo shalom, la pace, diventa qui una cosa nuova: diventa il dono di quella pace che solo Gesù può dare, perché è il frutto della sua vittoria radicale sul male. La «pace» che Gesù offre ai suoi amici è il frutto dell'amore di Dio che lo ha portato a morire sulla croce, a versare tutto il suo sangue, come Agnello mite e umile, «pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Ecco perché il beato Giovanni Paolo II ha voluto intitolare questa Domenica dopo la Pasqua alla Divina Misericordia, con un'icona ben precisa: quella del costato trafitto di Cristo, da cui escono sangue ed acqua, secondo la testimonianza oculare dell'apostolo Giovanni (cfr Gv 19,34-37). Ma ormai Gesù è risorto, e da Lui vivo scaturiscono i Sacramenti pasquali del Battesimo e dell'Eucaristia: chi si accosta ad essi con fede riceve il dono della vita eterna.
Cari fratelli e sorelle, accogliamo il dono della pace che ci offre Gesù risorto, lasciamoci riempire il cuore dalla sua misericordia! In questo modo, con la forza dello Spirito Santo, lo Spirito che ha risuscitato Cristo dai morti, anche noi possiamo portare agli altri questi doni pasquali".
Ai saluti nelle diverse lingue, dopo la preghiera mariana, il pontefice ha voluto salutare anzitutto " i pellegrini che hanno partecipato alla Santa Messa presieduta dal Cardinale Vicario Agostino Vallini nella chiesa di Santo Spirito in Sassia [vicino alla basilica di san Pietro - ndr], luogo privilegiato di culto della Divina Misericordia, dove si venerano in modo particolare anche santa Faustina Kowalska e il beato Giovanni Paolo II. A tutti auguro di essere testimoni dell'amore misericordioso di Cristo. Grazie della vostra presenza!".
L'augurio di essere "testimoni della Divina Misericordia" è stato rivolto anche in polacco, riferendosi soprattutto ai pellegrini del santuario di Łagiewniki, costruito nel luogo dove visse e mori santa Faustina Kowalska. "Là - ha spiegato il pontefice -  dieci anni fa, il beato Giovanni Paolo II disse: «Bisogna trasmettere al mondo questo fuoco della misericordia. Nella misericordia di Dio il mondo troverà la pace, e l'uomo la felicità! Affido questo compito...a tutti i devoti della Divina Misericordia». Fedeli a questa esortazione annunciamo al mondo il messaggio di Gesù Misericordioso, siamo i Suoi testimoni".
Nella sua riflessione, Benedetto XVI si è soffermato anche sui tempi delle apparizioni di Gesù, il "primo giorno della settimana" e "otto giorni dopo" (Giov. 20, 19.26): "Quel giorno, chiamato poi «domenica», è il giorno dell'assemblea, della comunità cristiana che si riunisce per il suo culto proprio, cioè l'Eucaristia, culto nuovo e distinto fin dall'inizio da quello giudaico del sabato. In effetti, la celebrazione del Giorno del Signore è una prova molto forte della Risurrezione di Cristo, perché solo un avvenimento straordinario e sconvolgente poteva indurre i primi cristiani a iniziare un culto diverso rispetto al sabato ebraico.
Allora come oggi, il culto cristiano non è solo una commemorazione di eventi passati, e nemmeno una particolare esperienza mistica, interiore, ma essenzialmente un incontro con il Signore risorto, che vive nella dimensione di Dio, al di là del tempo e dello spazio, e tuttavia si rende realmente presente in mezzo alla comunità, ci parla nelle Sacre Scritture e spezza per noi il Pane di vita eterna. Attraverso questi segni noi viviamo ciò che sperimentarono i discepoli, cioè il fatto di vedere Gesù e nello stesso tempo di non riconoscerlo; di toccare il suo corpo, un corpo vero, eppure libero dai legami terreni".
Il 19 aprile prossimo sarà il settimo anniversario del pontificato di Benedetto XVI. Il papa ne ha parlato nei saluti ai pellegrini francesi, dicendo: "Giovedì prossimo, in occasione del 7mo anniversario della mia elezione al soglio di Pietro, vi domando di pregare per me, perché il Signore mi doni la forza di compiere la missione che mi ha affidato! Che la Vergine Maria, Madre dei credenti, ci aiuti a vivere nella gioia di Pasqua".

Espropri forzati e demolizioni, continuano gli abusi del Partito comunista

13/04/2012 13:12
CINA da asianews

Gli abitanti del villaggio di Wugou chiedono giustizia per i terreni rubati e vengono caricati dalla polizia. Una coppia di settantenni viene buttata fuori dalla propria casa all'alba "perché serve al Partito". Le violenze del regime mettono in ginocchio la popolazione cinese.


Pechino (AsiaNews) - Oltre 1.400 persone sono scese in strada a Mudan, nella provincia dell'Heilongjiang, per protestare contro l'esproprio illegittimo dei terreni del loro villaggio a opera dei dirigenti comunisti. A Nanning, nel Guangxi, le autorità hanno invece ordinato la demolizione della casa di una coppia di anziani, che non hanno ottenuto neanche il risarcimento per il sequestro e la distruzione della loro abitazione.
I dimostranti di Mudan - tutti provenienti dal villaggio di Wugou - hanno marciato il 9 aprile scorso con dei cartelli con sopra scritto "salvaguardiamo gli interessi del popolo, punite la corruzione e ridateci la nostra terra". Le autorità locali, accusano, hanno espropriato terreni per 750 mu (1 mu è circa mezzo ettaro) da cedere a industrie private. La polizia ha cordonato il drappello e li ha caricati, portandone via 20. Diversi i feriti.
Il 12 aprile, invece, subito dopo le 7 di mattina un drappello composto da un centinaio di facinorosi e dirigenti locali ha fatto irruzione nella casa di Wei Sarong e Yu Linlian (di 79 e 78 anni), li hanno buttati fuori e ricoverati in un ospedale. Quando il figlio ha chiesto ai poliziotti per quale motivo venivano cacciati da casa loro, gli è stato detto che "è un ordine del Partito". Le autorità non hanno rispettato neanche la promessa di indennizzo firmata a favore della coppia.
Nonostante gli appelli del governo centrale, i quadri comunisti di tutto il Paese continuano a rubare le terre della popolazione. In Cina, lo sviluppo economico e commerciale è basato sull'industrializzazione forzata e quindi il valore commerciale dei terreni agricoli tende a salire, se si trovano in zone adatte all'impianto di fabbriche. Spesso, però, le popolazioni locali non vogliono questo cambiamento: allora le autorità ricorrono alla violenza fisica, senza alcun rispetto per la legge.



Lahore, cristiani e indù contro il "fascismo religioso" delle conversioni forzate all'islam

3/04/2012 12:06
PAKISTAN da asianews

di Jibran Khan
Ragazze cristiane e indù rapite, convertite con la forza e sposate contro la loro volontà; giovani cristiani sottoposti a circoncisione forzata; ragazzi indù imprigionati perché amici di ragazze musulmane. Negli ultimi cinque anni almeno 400-500 cristiani costretti a convertirsi all'islam. Critiche alla lentezza del governo e della polizia.


Lahore (AsiaNews) - "Molte ragazze indù sono state rapite di notte dalle loro case e obbligate a convertirsi all'islam. Di solito alla loro conversione segue la firma di un contratto matrimoniale (nikahnama) con un musulmano, che rafforza la posizione dei rapitori. Questi infatti rivendicano sempre la 'totale libertà' della conversione. Non possiamo stare a guardare": è quanto dichiara ad AsiaNews Dilip Kumar, un attivista indù. Ieri, insieme a decine di altri indù e cristiani e a rappresentanti di ong per i diritti umani, Dilip ha partecipato a una manifestazione per denunciare le conversioni forzate di ragazze e ragazzi e la lentezza con cui il governo risponde a questo problema, definito "fascismo religioso".
P. John Mall, della diocesi di Lahore ricorda che "quando ragazze indù o cristiane vengono rapite, nella maggior parte dei casi finiscono poi per essere vendute come prostitute e schiave del sesso. Sta crescendo un vero e proprio mercato odioso e le autorità continuano a chiudere gli occhi per non vedere". P. Mall ricorda il caso di Rinkle Kumari (v. foto), rapita, convertita e costretta a sposare un musulmano (v.: 28/03/2012 Ragazza indù alla Corte suprema: meglio morta, che convertita a forza all'islam). "Alla corte lei ha gridato: Piuttosto uccidetemi qui, ma non mandatemi in prigione o nelle mani della persona che mi ha convertito. E la corte cosa ha fatto? Invece di permetterle di ritornare in famiglia, è stata rinchiusa in prigione per tre settimane per farla riflettere sulla sua conversione all'islam. Col rischio che se dice di essersi convertita, viene spedita al suo formale marito".
Peter Jacob, direttore della Commissione nazionale di Giustizia e pace, dà ad AsiaNews le dimensioni del problema: "negli ultimi cinque anni vi sono stati 400-500 conversioni forzate di cristiani. È qualcosa di orribile: so di giovani del Punjab o del Baluchistan che sono stati sottomessi alla circoncisione forzata. Di questo passo, dove andremo a finire?".
Un altro attivista, Diyal Singh, racconta: "Due mesi fa, una ragazza musulmana ha fatto amicizia con tre ragazzi indù. La sua famiglia è riuscita a far arrestare i tre ragazzi e ha ucciso i genitori indù. Tutto questo è barbarie".
I dimostranti hanno anche scandito slogan contro il capo della polizia di Lahore, da poco apparso in corte sul caso legato alla distruzione dell'edificio di Gosh-e-Aman (v.: 17/02/2012 Lahore: per il tribunale niente blasfemia nella demolizione dell'istituto cattolico ).  Una delle vittime, la cristiana Zenobia Richard, ha presentato denuncia per "blasfemia" contro di lui per aver dissacrato bibbie, una statua della Madonna e rosari. La corte ha chiesto all'ufficiale di presentare un rapporto sull'incidente entro tre settimane.

Ognuno il suo ruolo


Nuove tasse


Riflessioni


Italiani in minoranza?


Impegno concreto


Il nostro futuro in pericolo?



Gli uomini non sopportano troppa realtà, diceva Thomas S. Eliot. In effetti siamo già così angosciati per lo spread, in ansia per la recessione, la disoccupazione, l’aumento delle tasse, il crollo del consumi, il debito pubblico, la crisi dell’euro, il fantasma del default dell’Italia, che non ci siamo accorti – e non ci vogliamo accorgere – di un pericolo ancora più mostruoso che incombe sulle nostre teste: un conflitto nucleare in Medio Oriente fra Iran e Israele. Con tutto quel che ne seguirebbe.

Proprio in questo fine settimana riprendono a Istanbul le trattative fra Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (con l’aggiunta della Germania) sul “potenziale nucleare” del regime degli ayatollah.
La crisi siriana – paradossalmente – ha rafforzato la posizione iraniana, quindi ha accresciuto i pericoli.
 Tanto che – come scriveva ieri Arrigo Levi sul Corriere della sera – “il mondo intero si sta ponendo con grande senso di urgenza questi interrogativi”, cioè “quanto è probabile un attacco nucleare iraniano a Israele per ‘eliminare dalla faccia della terra’ lo Stato ebraico” oppure se “dobbiamo aspettarci un attacco preventivo di Israele all’Iran”.
Non che in Italia non se ne parli. Del resto i media internazionali da mesi avvertono dell’avvicinarsi del botto e in Israele da tempo fanno continue esercitazioni – nei luoghi pubblici e nelle case – simulando l’eventualità di un attacco atomico.
Ma noi – comprensibilmente – siamo così distratti dai nostri guai, così sopraffatti dalle nostre ansie presenti, che navighiamo a vista senza guardare cosa succede fuori dai confini.
Un po’ per la nostra tradizionale lontananza dalle vicende internazionali, un po’ perché negli ultimi sessant’anni il mondo è stato diverse volte sospeso sul baratro nucleare e poi tutto si è sistemato all’ultimo momento.
Eppure, a causa della crisi economica in Italia e nel mondo, in un modo o nell’altro la paura di trovarci di fronte a un crollo, alla fine di un mondo (se non proprio alla fine del mondo), è dilagante, rappresenta veramente lo spirito dei tempi. La stessa “moda” delle (fasulle) profezie Maya ne è un sintomo.
Fa pensare anche, in questi giorni fa, l’insistente (esagerata) rievocazione, su giornali e tivù, della tragedia del Titanic. Credo che in altri momenti della nostra storia recente quell’evento così lontano nel tempo non avrebbe riscosso tanto interesse.
Se oggi rievocare l’enorme transatlantico che si va a schiantare e sprofonda nell’oceano esercita sul nostro immaginario un tale potere ipnotico è proprio perché, dentro qualche zona oscura della nostra coscienza, noi temiamo che quei poveretti siamo noi, che proprio quella sia la raffigurazione del presente: una società opulenta che di colpo – dalla festa e dai piaceri del lusso – sprofonda nella tragedia più orribile.
E’ questa la cupa prospettiva che ci aspetta, appena superato il Duemila? Non lo so.
Ma di certo questa sensazione della fine imminente, che curiosamente ci fu anche mille anni fa (la psicosi della fine del mondo infatti non dilagò alla vigilia dell’anno Mille, ma subito dopo), non è basata su fobie irrazionali, ma affonda le sue radici sull’analisi razionale della situazione.
Per quanto tendiamo a dimenticarlo il mondo – oltre ad essere investito da una crisi economica senza precedenti – è seduto su un’autentica polveriera, capace di distruggere l’umanità una decina di volte.
E sappiamo che ci sono anche regimi e forze capaci di accendere micce o di scatenare scontri incontrollabili… Uno dei rischi d’altronde è pure l’uso di ordigni nucleari da parte del terrorismo internazionale.
La situazione è così grave che anche dal pulpito più nobile, qual è la Cattedra di Pietro, da anni lanciano l’allarme. Sia il papa attuale che il predecessore hanno avvertito l’umanità.
Benedetto XVI, da attentissimo interprete dei segni dei tempi, ha anche esplicitamente espresso il suo timore di una “fine”. Lo ha fatto parlando al corpo diplomatico alcuni mesi fa con una frasetta che è passata inosservata, ma che pesa come un macigno, soprattutto considerata l’autorevolezza e l’abituale pacatezza di chi l’ha pronunciata.
Il Papa ha detto: “Il nostro futuro e il destino del nostro pianeta sono in pericolo”. Parole testuali pronunciate pochi mesi fa. E il successivo 13 maggio, a Fatima, durante l’omelia ha esplicitato questo drammatico scenario: “L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo…”.
Quando poi gli sono stati riproposti questi pensieri dal giornalista Peter Seewald, nel recente libro intervista “Luce del mondo”, il Santo Padre ha aggiunto: “senza dubbio ci sono dei segni che ci spaventano e che inquietano”.
Ha inquadrato infatti le minacce belliche nella generale crisi morale ed esistenziale del mondo.
Di fronte a una voce così autorevole che paventa esiti apocalittici della storia mondiale bisogna riflettere seriamente. Bisogna pensare a un cambiamento personale e collettivo.
Il Papa accenna infatti anche a “segni che danno speranza”. Ma oggi la stessa percezione della catastrofe rischia di essere paralizzante e di moltiplicare gli effetti negativi.
Lo vediamo nell’avvitamento su se stessa delle crisi economica, anche italiana, dove le misure anticrisi producono esse stesse nuova crisi e non si vede chi riesca a invertire la rotta e innescare un circolo virtuoso di crescita.
Le rovine hanno un potere ipnotico, come documenta la poesia di Rutilio Namaziano di fronte al crollo e la devastazione del millenario impero romano.
Allora furono i monaci che sulle rovine ricominciarono a costruire, salvando la grande civiltà che si stava perdendo. Avendo gli occhi e il cuore alla Città di Dio, seppero ricostruire la città degli uomini.
Ci vuole un nuovo san Benedetto. Ci vogliono nuovi monaci. Tanto più necessari se dovesse scoppiare il grande botto e se le rovine fossero anche materiali, oltreché economiche, morali e spirituali.

Antonio Socci

giovedì 12 aprile 2012

Imprenditore 27enne si suicida col gas."Aveva paura di Equitalia"


Giovedì, 12 aprile 2012 - 11:09:00 Da Affaritaliani.it

cadavere
La crisi continua, ininterrottamente, a mietere vittime. L'ennesimo capitolo di una tragedia che sembra senza fine avviene in provincia di Arezzo, esattamente in un luogo isolato della Valtiberina, tra i boschi dell'Aretino. E' lì che si è tolto la vita Francesco, 27 anni. Era un artigiano ma chi lo conosce dice che aveva una vera ossessione: i debiti con il Fisco.
L'hanno trovato i carabinieri nella sua auto. Con ogni probabilità si è ucciso facendosi asfissiare dai gas di scarico con i quali vrebbe saturato l'abitacolo dopo averlo collegato al tubo di scappamento. Francesco non ha lasciato nessun messaggio d'addio ma i suoi amici sono certi che si sia suicidato per la paura dei debiti. Aveva problemi economici e non sempre riusciva a pagare le rate di Equitalia e dell'Agenzia delle entrate. Infatti aveva dovuto chiudere la sua attività, che consisteva nell'arredamento di negozi e grandi magazzini di alta moda. Quando è stato costretto a chiudere, era tornato al paese d'origine ed è ripartito con un lavoro umile: il taglialegna. Nei prossimi giorni aveva un colloquio per un posto da addetto alla semina per una società di erbe medicinali.
Nella sua agenda, ritrovata dai carabinbieri, c'era segnato un appuntamento con Equitalia per martedì scorso: doveva definire il piano di rateizzazione di un debito di circa 40 mila euro, ovvero sei anni di pagamenti davanti a lui. Una morsa dalla quale non sarebbe riuscito a scappare. Alla vigilia di Pasqua, un primo segnale era giunto al fratello. Francesco gli aveva chiesto 50 euro per comprare una corda. Una richiesta allarmante, vista con il senno di poi. Ma nessuno poteva immaginare cosa stava maturando nella sua testa.