giovedì 30 agosto 2012


Violentano le ragazzine occidentali perché il Corano legittima lo stupro delle non musulmane


Una notizia che è passata sotto tono, nessuno ha dedicato una trasmissione a questo episodio. Risale al 9 maggio del 2012. Violentano 631 ragazzine: arrestata banda di stupratori pachistani
LONDRA, Gran Bretagna — Hanno violentato 631 ragazzine negli ultimi 5 anni. La polizia inglese ha sgominato una banda di pedofili pakistani responsabili di violenze sessuali su minorenni prelevate da case di accoglienza per minori.
La sconvolgente vicenda è venuta in luce a Liverpool, in seguito alla condanna di nove uomini di origine asiatica. Secondo quanto riporta il quotidiano Times la vicenda avrebbe dimensioni molto più vaste di quelle emerse durante il processo.
La gang finita in carcere per aver organizzato la tratta delle giovani era composta da britannici di origini pachistane e da un afghano in attesa di asilo. Si tratta di tassisti o fattorini di take-away tra i 22 e i 59 anni. Sono stati condannati per stupro, traffico di minori e pedofilia per un totale di 77 anni di prigione. Le vittime erano tutte ragazzine bianche fra i 12 e i 16 anni.
Venivano adescate con la promessa di cibo, sigarette o carte di credito telefoniche. Poi drogate o ubriacate e trasportate in giro in appartamenti, pub, negozi di kebab e taxi di Greater Manchester, Lancashire e West Yorkshire (nord dell’Inghilterra), vendute per atti sessuali. Due di loro sono morte dopo gli stupri.
Cosa c’è di notevole in questa notizia? Potrebbe sembrare una qualsiasi notizia di cronaca indegnamente e oscenamente nera, dove “per caso” 8 criminali tutti islamici ed asiatici, sette pakistani e un afgano,  commettono un crimine dove le vittime, 631, “per caso” tutte bianche, il che vuol dire di origine inglese, cioè cristiane.
Il caso esiste, ma ha dei limiti. In più gli otto gentiluomini ha sottolineato al processo che loro sono islamici, hanno ingiuriato le femmine presenti nelle aule del tribunale ed hanno affermato che l’usare le ragazzine era stato un loro diritto. Il crimine era processarli.
Il Corano nella sura 4:24 dice:
E vi sono vietate le mogli sposate di altri popoli a meno che non siano cadute nelle vostre mani (come prigioniere di guerra o schiave comprate). Le ragazzine appartengono ad un altro popolo in quanto non islamiche. Torniamo allo stupro. La religione islamica chiarisce come lo stupro sia comunque responsabilità della donna che non lo ha evitato.  È una teoria che accolla completamente alla donne la responsabilità di non causare un’erezione all’uomo mostrando parti del proprio corpo e anche facendo sentire la propria voce mentre ride o canta. Le ragazzine hanno accettato appuntamenti dati per telefono o via internet, ci sono andate, hanno accettato bibite, e schede telefoniche. Questo comportamento  le ha definite come persone che si erano esposte. Non solo sono, cristiane, cioè di una gente diversa, verso la quale non c’è obbligo di rispetto e si erano esposte,  non hanno protetto il loro onore fidandosi di sconosciuti che offrivano qualcosa, comportamento assolutamente imprudente, ma comprensibile in persone con deficit affettivi, come il cagnolino preso a calci da tutti che per una crocchetta e una carezza accetta di seguire lo sconosciuto fino al laboratorio di vivisezione. Il termine tecnico è “grooming”, inteso come complesso di azioni deliberatamente intraprese per avvicinare bambini, stabilire una connessione emotiva con loro, e ridurne le inibizioni allo scopo di commettere atti di natura sessuale.
Il punto tragico di questa storia è che la comunità di appartenenza delle ragazzine non le ha difese. Dove erano i servizi sociali e i tribunali? Dove i servizi sociali e i tribunali passano il tempo sempre quando risuona la parola islam, sotto un sasso con le lucertole. Dal 2008, cioè per 3 anni, nel timore di accuse di razzismo  i servizi sociali hanno trattato le ragazzine da mitomani, le hanno accusate di far passare come arbitrari atti sessuali su cui invece erano consenzienti. Il vero scandalo sta nel fatto che pur essendo a conoscenza degli abusi almeno dal 2008, polizia, magistrati inquirenti e servizi sociali non abbiano agito di conseguenza, anzi abbiano deliberatamente ignorato, nicchiato, minimizzato, lasciando che le violenze continuassero e si ripetessero. Il motivo? Le ragazzine sono prevalentemente bianche, provenienti da condizioni familiari vulnerabili e quindi seguite dai servizi sociali, ( vuol dire senza padri e fratelli in grado di proteggerle)  mentre i membri dell’organizzazione sono asiatici e musulmani, ripeto otto sono di origine pachistana, uno afghano. In un Paese politicamente corretto non si possono formulare critiche nei confronti di specifiche identità religiose o etniche, con l’eccezione dei soliti cattolici e dei soliti ebrei, che possono essere aggrediti sempre e ovunque. L’ex ministro laburista Keith Vaz sostiene che menzionare le origini pachistane dei condannati significa fare il gioco dell’estrema destra. Mica vorremo fare il gioco dell’estrema destra? Per qualche centinaio di mocciose? Solo due sono morte, non esageriamo.
Notizie  identiche ci arrivano dalla Norvegia: l’80% degli stupri è commesso da uomini islamici su donne norvegesi, lo stesso avviene in Svezia e in Danimarca. In Olanda non si sa perché in nome della libertà di informazione è vietato dare ai media il nome e la connotazione etnica dei criminali per non incoraggiare la destra xenofoba. In Francia e Australia sono sempre più segnalati stupri di gruppo di islamici contro donne cristiane, cioè infedeli e non velate, quindi violentabili.
La statistica è una scienza con una dignità, Statisticamente nel mondo occidentale, Europa, America del nord . Australia la minoranza islamica è responsabile della maggioranza degli stupri. Non tutti gli stupri sono commessi da islamici e meno che mai tutti gli islamici sono stupratori, ma questa statistica resta lì con tutto il suo orrore.
In tutto questo quello che è orrendo non è il comportamento degli islamici, che hanno fatto quello che i 9/10 dell’umanità ha sempre fatto: si sono comportati da predatori. L’errore tragico è un’ Europa ubriaca di idiozie che permette a chiunque di entrare, nella convinzione aprioristica che costui sia “buono” e che rispetti regole che non gli appartengono. La tragedia  dell’Europa dei servizi sociali e dei giudici corrotti dalla paura, la paura di avere le periferie in fiamme se si tocca la comunità musulmana, la paura di essere tacciati di razzismo:  si esce dalla società civile, come dalla sosietà civile era uscita la Fallaci.
Nel  terrore di essere accusati di razzismo, c’è una motivazione più sottile e strutturale. Da sessanta anni a questa parte in tutti i libri per ragazzi, in tutti i film, gli europei, gli americani, i cristiani sono cattivi e gli appartenenti ad altre etnie sono buoni. Razzismo è anche affermare che tutti gli appartenenti ad una nazione o una religione sono buoni. L’affermazione delle due Simone che affermano che gli iracheno sono tutti buoni è razzismo. Nei libri del ventennio fascista era vietato che in un libro per ragazzi un tedesco fosse cattivo o criticabile.  Questo è razzismo. Nei libri dei paesi del patto di Varsavia era vietato che il personaggio negativo fosse un russo. Nei libri per ragazzi, MAI il personaggio negativo è extraeuropeo. Le civiltà extraeuropee sono tutte rappresentate come armoniose, sagge, in meraviglioso equilibrio con la natura. Tutte le volte che c’è un dissidio tra un europeo ( cioè un cristiano) ed un extraeuropeo, l’europeo ha torto. Non esiste più il vaiolo perché abbiamo estinto il virus, stiamo per vincere anche la poliomelite. Non importa. Nei libri per ragazzi siamo sempre maledetti, bugiardi, avidi di denaro. Gli arabi, tutti, sono buoni e saggi, come i giapponesi ( a Nanchino non sono dell’idea) i cinesi eccetera. Ogni volta che c’è una ripetizione (per esempio arabo buono, occidentale cattivo) si rafforza una sinapsi che diventa preferenziale. Un riflesso condizionato. Considerare che se una ragazzina inglese sta accusando un pachistano, sicuramente sta mentendo perché il pachistano non può essere cattivo, è un riflesso condizionato di miriadi di narrazioni che vedono l’immigrato come vittima designata. Pur di non infrangere il riflesso condizionato ed avere una dissonanza cognitiva, il cervello umano cancella le informazioni.
Sapete chi è il pubblico ministero che ha sgominato al gang de pachistani? Nazir Afzal un musulmano anche lui di origini pakistane. Nell’ultima udienza il pubblico accusatore, Nazir Afzal, l’ha ammesso: “Il bagaglio culturale importato dagli imputati ha giocato un ruolo centrale, per loro la donna è un essere inferiore”
Che l’accusatore, quello che alla fine si è mosso, sia un pachistano musulmano da un lato è molto bello, vuol dire che gli uomini d’onore nascono a tutte le latitudini. Dall’altro lato è agghiacciante. Nessun giudice di origine britannica, cristiana ha osato sfidare l’accusa di razzismo. Hanno preferito che la vita di centinaia di ragazzine fosse calpestata, due di loro sono morte, le altre segnate per la vita.
La verità vi renderà liberi. La perdita della verità vi renderà schiavi. Questi poveri stolti e non capiscono che il loro comportamento non è tolleranza ma la forma più bestiale di razzismo e  dhimmitudine. Per fortuna che noi ci siamo.

venerdì 3 agosto 2012

La Siria in un vicolo cieco: ascoltiamo il Papa (e Kofi Annan)

 03/08/2012 12:20
SIRIA - VATICANO da asianews

di Bernardo Cervellera
Le dimissioni di Kofi Annan gettano nell'oscurità la situazione siriana. L'escalation di violenze è responsabilità di Assad e dell'opposizione, che programmano un futuro eliminando l'altro. Divisioni anche nel Consiglio di sicurezza: ognuno è protettore di uno degli interlocutori e sponsor economico e militare. Annan: Occorre un processo politico onnicomprensivo. Il papa: la "sapienza del cuore" per giungere a una soluzione politica del conflitto.


Roma (AsiaNews) - Le dimissioni di Kofi Annan dalla carica di inviato dell'Onu per la pace in Siria accresce l'oscurità nel presente e nel futuro del Paese medio-orientale. Le notizie quotidiane di massacri dall'una e dall'altra parte; gli spietati bombardamenti dell'esercito siriano sulle città, come gli attacchi con armi sempre più pesanti da parte dell'opposizione mostrano che quella che è divenuta una guerra civile difficilmente avrà vincitori o vinti: avendo ognuno deciso di eliminare l'avversario e di progettare un futuro senza di esso, le due parti si sono scatenate in una guerra senza esclusione di colpi.
Anche se Assad pensasse di vincere, la Siria non potrà essere come quella di prima delle rivolte: non vi è soltanto al Qaeda a lottare, né il Free Syrian Army, o "i terroristi", ma anche buona parte della popolazione che esigono avere parte nella gestione del Paese.
E se l'opposizione vincesse, è quasi sicuro che vi sarebbe un'altra guerra interna: fino ad ora, infatti, la sfrangiata opposizione mostra che ognuno va avanti per la sua strada e non sa cucire insieme con gli altri ribelli un futuro unitario.
La lucida analisi di Kofi Annan accusa - per la prima volta in modo esplicito - entrambe le parti per l'escalation del conflitto, togliendo quell'aura di "eroi partigiani" di cui i rivoltosi hanno goduto finora.
Ma Kofi Annan accusa soprattutto il Consiglio di sicurezza Onu e la comunità internazionale di essersi divisa e di "puntare il dito" e di "offendersi" l'un con l'altro.
Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno continuato a criticare Russia e Cina perché frenano mozioni risolutive all'Onu contro il regime siriano. Ma essi - e gli Usa soprattutto - hanno fatto della cacciata di Assad e del suo governo il passo risolutivo. Demonizzando Assad si rischia il fallimento dell'Iraq, quando alla caduta di Saddam Hussein gli Stati Uniti hanno azzerato la burocrazia e l'amministrazione del partito Baath, condannando per anni  il Paese all'anarchia e alla violenza.
Russia e Cina (e Iran) da parte loro sfoggiano il loro patronato sulla Siria, ma non hanno mai proposto alcuna pista ragionevole per la pace, preferendo soltanto difendere il loro legame (anche commerciale) con Damasco.
La Lega araba, e in particolare l'Arabia saudita e il Qatar, da un pulpito improbabile, continuano a condannare la dittatura di Assad, difendendo la rivoluzione araba purché avvenga fuori dei loro confini. E per combattere una paventata egemonia iraniana, consegnano la Siria ai fondamentalisti di al Qaeda e ad altri integralisti islamici, che avrebbero vita difficile a Riyadh e a Doha.
Un capitolo a parte meriterebbe il bazar delle armi. Ogni sostenitore provvede per il suo gruppo: elicotteri da guerra (Russia); strumenti di comunicazione e intelligence (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti); armi pesanti e soldi (Arabia saudita e Qatar). Nel commercio di armi sono implicate le stesse nazioni che avevano dato il mandato a Kofi Annan di cercare una pace possibile!
In un editoriale pubblicato sul sito del Financial Times, Kofi Annan chiede un po' di serietà alle grandi e piccole potenze. Per l'ex segretario dell'Onu, Russia, Cina e Iran "devono assumere sforzi comuni per persuadere la leadership siriana di cambiare corso e abbracciare la transizione politica", anche con la partenza di Assad. Le potenze occidentali, i sauditi e il Qatar "devono far pressione sull'opposizione perché percorrano un processo politico onnicomprensivo - che deve includere comunità e istituzioni che attualmente sono associate con il governo".
Impressiona la profonda sintonia fra le richieste di Annan e quanto Benedetto XVI ha richiesto all'Angelus di domenica 29 luglio. Il papa, che segue gli avvenimenti in Siria "con apprensione", ha detto che chiede "a Dio la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un'adeguata soluzione politica del conflitto".
Il punto è che il pontefice ha a cuore "i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi". Non sappiamo invece cosa abbiano a cuore i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu o la Lega araba. Forse degli interessi piccoli piccoli.

La strage di Bologna e il nazismo islamico




Il nazismo ha due anime, tedesca ed islamica. 
Adolf Hitler, Berlino 22 novembre 1941 
Noi li sgozzeremo tutti, sgozzeremo i feti nelle madri. Arafat, Algeri, 1985 
Ringraziamo la “resistenza palestinese” per la strage di Bologna 
Bologna: trent’anni fa i nazifascisti palestinesi causano la strage della stazione. 
Bologna è stata una strage nazifascista, ma è il nazifascismo palestinese, non quello nostrano il responsabile.

Intervista a Cossiga
 Perché lei è certo dell’innocenza di Mambro e Fioravanti per la strage di Bologna? Dove vanno cercati i veri colpevoli?
«Lo dico perché di terrorismo me ne intendo. La strage di Bologna è un incidente accaduto agli amici della “resistenza palestinese” che, autorizzata dal “lodo Moro” a fare in Italia quel che voleva purché non contro il nostro Paese, si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo. Quanto agli innocenti condannati, in Italia i magistrati, salvo qualcuno, non sono mai stati eroi. E nella rossa Bologna la strage doveva essere fascista. In un primo tempo, gli imputati vennero assolti. Seguirono le manifestazioni politiche, e le sentenze politiche».
 Scusi, i palestinesi trasportavano l’esplosivo sui treni delle Ferrovie dello Stato?
«Ero presidente del Consiglio, e fui informato dai carabinieri che le cose erano andate così. Anche le altre versioni che raccolsi collimavano. Se è per questo, i palestinesi trasportarono un missile sulla macchina di Pifano, il capo degli autonomi di via dei Volsci. Dopo il suo arresto ricevetti per vie traverse un telegramma di protesta da George Habbash, il capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina: “Quel missile è mio. State violando il nostro accordo. Liberate subito il povero Pifano”».
 Giuseppe Valerio Fioravanti è un signore che per tutta la sua vita ha fatto il terrorista nazifascista. Ha cinque ergastoli: quattro se li è meritati, il quinto, quello per Bologna, è immeritato: è impensabile possa essere stato lui.
  Non possiamo dire la verità, perché altrimenti i palestinesi ci punirebbero con un’altra bomba e nessun uomo politico può rischiare cento morti.
 La domanda di questi gentiluomini resta inevasa. Perché i governi tacciono? 
Nell’ultimo governo Prodi erano presenti anche Rifondazione Comunista e il Partito Comunista Italiano e anche loro hanno mantenuto il silenzio, Quindi, contrariamente a quanto sostenuto sul Manifesto, non sono stati i fascisti, né i Massoni e non è coinvolto nessun servizio segreto di un paese occidentale altrimenti i comunisti avrebbero parlato. Inoltre se fosse dimostrabile che è stato un paese occidentale, all’Italia spetterebbe un risarcimento in denaro enorme, in quanto coinvolta in un atto di guerra non prima dichiarata. L’Italia accetta la testimonianza di Izzo, caccia sulle spalle di Fioravanti che ha già 4 ergastoli, un quinto ergastolo e lo ringrazia di non aver fatto troppo casino mettendolo fuori dopo venti anni e qualcosa.
 Lo schema di tutti i governi è: 
Facciamo finta che sia stato Fioravanti e non ne parliamo più, perché se la verità viene fuori è una catastrofe per tutti e nessun governo se ne può assumere la responsabilità. 
La pista palestinese, l’esplosivo era dei palestinesi che lo stavano spostando insieme a Carlos, era a Bologna un suo uomo Krams. L’esplosivo è esploso per errore ( Cossiga), oppure per punire l’Italia non abbastanza servile con i palestinesi ( Commissione Mitrokhin) Carlos è un terrorista nero, rosso verde, fascista, comunista e islamico, la cui moglie avvocato, ha difeso Kòaus Barbie, gerarca nazista detto il boia di Lione e la bamnda dei barbari ( gruppo di islamici che per 23 giorni hanno torturato a morte un ragazzo ebreo a Parigi).

 La pista palestinese ha senso perché: 
1)Nessuno ha rivendicato la strage. È possibile si sia trattato di un errore. Non è l’unica strage non rivendicata, potrebbe far parte di una generica strategia della tensione. Indizio debole.
 2)Non erano in molti, e Fioravanti non era tra questi, a disporre di quel quantitativo di esplosivo. L’esplosivo non si vende al supermercato. Occorre un grosso gruppo con molto denaro e grosse reti per avere grandi quantità di esplosivo. I palestinesi erano praticamente gli unici in quel periodo a rispondere alla descrizione
 3)Commissione Mitrokhin secondo cui l’attentato fu palestinese ma non accidentale, ma punitivo. I primi a parlare di pista palestinese. Indizio medio.
 4)Ne parla Cossiga, che è uno dei pochi che conosce la verità in quanto ex presidente della repubblica. Prova inoppugnabile.
 5) Cossiga ne parla e non viene denunciato da nessuno, e le sue parole vengono fatte cadere nel vuoto. Nessun governo può permettersi la verità. Quindi la verità è qualcosa che deve rispondere a questo criterio. Se detta causa una catastrofe a tutto il paese. Nessun governo se lo può permettere.
 6) lo stesso Carlos, attualmente in carcere in Francia. ha riconosciuto che l’esplosivo era il suo
 E solo la pista palestinese risponde a questo schema.
 Nessun governo può parlare perché 
Chi parla si becca l’attentato. Moro fecce il suo patto sciagurato per evitare attentati ai cittadini italiani, soprattutto se non ebrei. Chi minaccia attentati ricatta tutti. Chi dice la verità è considerato un provocatore dal terrorismo islamico, e palestinese, che si scatena con rappresaglie contro innocenti. Il bellissimo discorso del Papa a Ratisbona è stato pagato da una suora italiana uccisa in Somalia e qualche decina di cristiani uccisi in Nigeria e i nati servi, la lista ve l’ho già data, hanno scritto che la “colpa era del papa”. I nati servi hanno un addestramento meraviglioso a considerare la libertà di parola una provocazione. Hanno scritto sui loro giornali che il fatto che il papa si sia permesso di battezzare Magdi Allam di persona è una provocazione insopportabile ed è lui il responsabile del terrorismo islamico. I nati servi odiano chi è libero.
 Il governo che dice la verità non sarà applaudito dai fascisti di sinistra che fischiano i ministri a Bologna perché loro preferisono la menzogna della pista fascista, e si troverà di fronte i parenti delle vittime della nuova strage. Nessuno vuole la responsabilità di una nuova strage. Noi siamo persone responsabili. Il ricatto del terrorismo, se parli ammazzo degli innocenti, paralizza chiunque.
 In questo caso, però, c’è un secondo problema. Riconoscere che Moro aveva dato il permesso di spostare armi ed esplosivo ai palestinesi, dimostra che eravamo alleati di chi faceva la guerra ad Israele. Cioè noi abbiamo commesso atti di guerra contro Israele, senza un dichiarazione di Guerra.
 Una roba di questo genere, se ufficiale, ci mette fuori dalla comunità internazionale. Vuol dire crediti bloccati e boicottaggio internazionale dei nostri prodotti, a meno di non subire un processo che stabilisse il risarcimento allo stato di Israele, un rinascimento di guerra. Nemmeno la Somalia e l’Iran riconoscono il loro sostegno al terrorismo ufficialmente.
 Quindi il massimo che si può fare, il massimo, è far dire la verità a Cossiga, ufficiosamente, perché almeno la verità sia ascoltata.
 Da chi è in grado di ascoltarla.
 I vili che si sono tappati le orecchie resteranno nella menzogna.
 Abbiamo pagato lacrime e sangue la vigliaccheria verso il terrorismo.
 Abbiamo pagato un tributo spaventoso.
 Ora è il momento del coraggio.
 Se dobbiamo attraversare lacrime e sangue, meritiamocelo, combattiamo il terrorismo, facciamolo a testa alta, per salvare la libertà nostra e dei nostri figli.

L'attacco aereo all'Iran e le elezioni americane

02/08/2012 15:35
ISRAELE - IRAN da asianews

di Joshua Lapide
Ex capo del Mossad: gli iraniani devono aver paura nelle prossime 12 settimane (ossia prima delle elezioni presidenziali negli Usa). Panetta cerca di convincere Netanyahu dell'efficacia delle sanzioni. Ma il premier minaccia: Israele agirà da solo. Romney si offre come partner più affidabile. I dilemmi di Obama. I pro e i contro dell'attacco.


Gerusalemme (AsiaNews) - In questi ultimi giorni sono divenute sempre più insistenti le voci di un possibile attacco aereo all'Iran per distruggere il programma nucleare di Teheran. La data che dovrebbe fare da spartiacque sarebbe quella delle elezioni americane, che si terranno in novembre.
Da anni Israele accusa la comunità internazionale di rimanere immobile mentre l'Iran accresce la sua potenza nucleare militare. Teheran continua a difendersi rivendicando un uso pacifico dei suoi reattori, ma sfugge a controlli stringenti dell'Aiea, l'agenzia atomica dell'Onu.
Quest'oggi, in una dichiarazione pubblicata dal New York Times, Ephraim Halevy, ex capo del Mossad e consigliere della sicurezza nazionale, ha detto che se lui fosse iraniano, "sarei molto pauroso per le prossime 12 settimane". Le 12 settimane sono quelle che mancano alle elezioni presidenziali americane, che dovrebbero tenersi agli inizi di novembre.
Non è un caso che nei giorni scorsi, uno dietro l'altro, si sono ritrovati a Gerusalemme Leon Panetta, segretario Usa per la difesa, e Mitt Romney, candidato alla presidenza per i repubblicani.
Entrambi hanno cercato di assicurare lo stato d'Israele che gli Stati Uniti sono vicini alle preoccupazioni anti-nucleari di Israele. Ma Panetta è sembrato più possibilista: sebbene non escluda un attacco militare, egli vuole che la diplomazia e le sanzioni facciano il suo corso. Proprio in corrispondenza con l'arrivo di Panetta a Gerusalemme, il presidente Barack Obama ha rincarato la dose delle sanzioni economiche sul commercio di petrolio con l'Iran e sulle transazioni finanziarie.
Tutto ciò non è riuscito a placare il premier Benjamin Netanyahu (v. foto), che ha ricordato che lo stesso Panetta, mesi fa  aveva promesso di "agire" per fermare l'escalation iraniana, se "tutto il resto fallisce". Ma l'Iran - ha sottolineato Netanyahu - non si è fermato.
Il premier israeliano ha suggerito che Israele potrebbe agire da solo nel distruggere le centrali nucleari iraniane "Per la nostra esistenza, noi non mettiamo la nostra fiducia nelle mani di altri, perfino i nostri migliori amici".
La minaccia di Netanyahu è in realtà soprattutto un ricatto politico. Al momento, secondo fonti dell'intelligence, Israele non avrebbe la possibilità di portare danni profondi al programma nucleare iraniano perché i laboratori di arricchimento dell'uranio sono a oltre 100 metri nel sottosuolo, impossibili da raggiungere con qualunque tipo di bomba di profondità.
Il ricatto politico consiste nel mettere uno contro l'altro Obama (e Panetta) contro Mitt Romney, il quale ha promesso l'uso di "tutte le misure" per fermare Teheran, accusando l'amministrazione Obama di non essere di sostegno a Israele.
Il che è come dire: se Obama non si decide, l'elettorato ebreo ed evangelico in America, sostenitori di Israele, voterà per Romney.
Secondo alcune statistiche, ebrei ed evangelici negli Usa comandano circa 20 milioni di voti. Alcune ricerche Gallup mostrano che nel 2008 Obama è stato votato dal 78% degli ebrei; a oggi il sostegno è sceso al 64%.
Il punto è che Obama, liberale, è anche appoggiato da una frangia giovanile pacifista, che già lo accusa di "essere come Bush" per la sua lentezza a ritirare truppe Usa da Iraq, Afghanistan e chiudere il carcere di Guantanamo. Secondo analisti, la cosa migliore per Obama è programmare l'attacco dopo le elezioni.
In Israele si discute da tempo i pro e i contro di un attacco aereo contro l'Iran. Capi militari e dei servizi segreti sono contrari all'attacco perché temono che la posta in gioco sia la sopravvivenza di Israele: Teheran ha già missili che possono raggiungere ogni parte dello Stato israeliano. I politici, invece, sono sempre più disposti: forse per mostrarsi "salvatori" di Israele; forse per nascondere dietro l'emergenza lo stallo delle lor proposte politiche e i problemi sociali della popolazione, sempre più strangolata da un'economia in crisi.

Onu diviso: Kofi Annan si dimette, cresce la guerra in Siria

03/08/2012 08:58
SIRIA - ONU da asianews

Per l'ex segretario dell'Onu non c'è collaborazione da parte del governo siriano e da parte dell'opposizione. Ma soprattutto vi è divisione nel Consiglio di sicurezza e nella comunità internazionale con accuse reciproche e appoggi di parte. Ieri sono state uccise 130 persone in conflitti che hanno coinvolto anche Damasco ed Aleppo. Oggi la Lega araba propone una risoluzione all'Assemblea generale delle Nazioni Unite per criticare le minacce della Siria sull'uso di armi chimiche. L'escalation militare di Damasco e dei ribelli sostenuta dagli stessi Paesi del Consiglio di sicurezza.


Ginevra (AsiaNews) - Kofi Annan, ex segretario generale dell'Onu si è dimesso dal suo posto di inviato alla ricerca di un cessate-il-fuoco in Siria, accusando un diviso Consiglio di sicurezza e una crescente militarizzazione del conflitto.
In una conferenza stampa, Annan ha parlato di "una chiara mancanza di unità" nel Consiglio di sicurezza, che ha continuato a "puntare il dito e ad offendersi" reciprocamente, mentre sul terreno hanno dominato "l'intransigenza del governo siriano" e "una crescente campagna militare dell'opposizione".
Annan era stato nominato sei mesi fa inviato speciale dell'Onu e della Lega araba per cercare una soluzione pacifica alle tensioni in Siria che, iniziate con manifestazioni pacifiche nel marzo 2011, si sono trasformate via via in una guerra civile.
La proposta dell'ex segretario Onu si basava sull'attuazione di un cessate-il-fuoco da entrambe le parti e sull'avvio di una transizione politica. Nessuna delle due condizioni si è attuata.
Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno di continuo lavorato per porre sanzioni contro Assad, chiedendone la caduta; Cina e Russia vi hanno sempre resistito; Arabia saudita e Qatar hanno armato sempre più le opposizioni e i guerriglieri; l'Iran ha promesso di essere sempre al fianco della Siria.
Kofi Annan ha dichiarato che i problemi della Siria si sono "accresciuti per la divisione della comunità internazionale". "Mentre il popolo siriano ha bisogno urgente di azione, si continua a puntare il dito ed accusarsi [reciprocamente] nel Consiglio di sicurezza".
"La Siria - ha aggiunto - può essere salvata dalla peggiore calamità se la comunità internazionale può mostrare il coraggio e la leadership necessaria a un compromesso sui loro interessi di parte per il bene del popolo siriano, per gli uomini, le donne e i bambini che hanno già sofferto troppo".
All'annuncio delle dimissioni di Annan, che diventano effettive dal 31 agosto, Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno cominciato proprio a puntare il dito reciprocamente per addossare all'altro la colpa del fallimento.
Vitaly Churkin, ambasciatore russo all'Onu ha accusato i "poteri occidentali" che hanno bloccato "proposte bilanciate e ragionevoli"; la Casa Bianca afferma che la colpa è di Russia e Cina che non hanno appoggiato "risoluzioni significative contro Assad"; William Hague, ministro britannico degli esteri, insieme alla Francia, hanno criticato "i veti" posti da Russia e Cina.
La Siria ha espresso dispiacere per le dimissioni di Annan.
Quest'oggi in un tentativo disperato di tenere viva la diplomazia, la Lega araba chiederà un voto all'Assemblea generale dell'Onu per "esprimere la profonda preoccupazione sulla minaccia delle autorità siriane di usare armi chimiche e biologiche". La Russia ha già detto che non voterà la risoluzione perché "troppo di parte". Anche se la risoluzione passa, essa non ha valore vincolante.
Intanto, la situazione sul terreno è sempre più disperata. Secondo il Comitato di coordinamento locale, ieri in Siria sono state uccise 130 persone, anche nelle due grandi città di Damasco e Aleppo. Secondo attivisti anti-Assad, in 17 mesi di rivolte sono morti più di 20mila persone, in maggioranza civili.
Mentre si discute su una maggiore unità della comunità internazionale, Arabia saudita e Qatar aumentano il loro sostegno economico ai ribelli; Gran Bretagna e Francia offrono loro strumenti di comunicazione per la guerra; gli Stati Uniti offrono 25 milioni di dollari per un sostegno "non letale" all'opposizione; la Russia vende armi alla Siria.

martedì 31 luglio 2012

Madre di una dissidente cattolica si dà fuoco. Ira e sconcerto fra i vietnamiti

31/07/2012 VIETNAM da asianews

di J.B. An Dang
Dang Thi Kim Lieng si è auto-immolata davanti agli uffici governativi della provincia meridionale di Bac Lieu. La figlia Maria Ta Phong Tan, ex poliziotta convertita al cristianesimo, è in carcere in attesa di processo. Rischia fino a 20 anni di galera per propaganda contro lo Stato. Attivisti per i diritti umani e blogger: accuse pretestuose. 
Hanoi (AsiaNews) - La comunità cattolica vietnamita è sotto shock per la morte di Dang Thi Kim Lieng, madre di Maria Ta Phong Tan (nella foto), famosa dissidente in carcere in attesa di processo e che rischia fino a 20 anni di prigione. La donna si è data fuoco di fronte agli uffici governativi nella provincia meridionale di Bac Lieu, per protestare contro gli abusi delle autorità che tengono in prigione la.

Berlino e Washington vendono armi ai regimi per la "stabilità" nel Medio Oriente

30/07/2012 16:27
GERMANIA - USA - M.ORIENTE - da asianews
 
Il governo tedesco conferma una trattativa per la vendita di carri armati a Qatar e Arabia Saudita. Gli Usa potenziano il Kuwait con nuovi basi missilistiche e radar. Gli investimenti potenziali ammontano a decine di miliardi di euro. Esperti mettono in guardia sul rischio di aumentare le violazioni dei diritti umani e il potere di governi dittatoriali.


Berlino (AsiaNews/ Agenzie) - Germania e Stati Uniti continuano a vendere armi ai loro alleati in Medio Oriente. I Paesi interessati sono Qatar, Arabia Saudita e Kuwait che in questi mesi hanno più volte manifestato interessi per l'acquisto di armamenti, fra cui missili e carri armati. I potenziali investimenti ammontano a diversi miliardi di euro. Oggi, Georg Steiter, portavoce del governo tedesco, ha confermato una trattativa con il Qatar per la vendita di 200 carri armati Leopard 2 del valore di 2 miliardi di euro. A inizio luglio, i giornali tedeschi avevano scoperto una trattativa fra Berlino e Arabia Saudita per l'acquisto di almeno 800 carri armati dello stesso modello con un investimento di 10 miliardi di euro.
Il comportamento del governo tedesco suscita le polemiche dell'opinione pubblica che accusa la cancelliera Angela Merkel di una politica estera a "due facce". Da un lato quella pacifica tenuta nei summit internazionali di Onu e Nato, dall'altro quella favorevole alla guerra e alla vendita di armi a Paesi  che non rispettano diritti umani e libertà religiosa. Lo stessa strategia è portata avanti dagli Stati Uniti. La scorsa settimana gli Usa hanno concluso un affare milionario con il Kuwait firmando la vendita di 60 sistemi di lancio missilistico, la costruzione di 20 basi missilistiche e quattro nuovi centri radar. Nel 2011 Washington ha venduto all'Arabia Saudita armi, fra cui aerei e missili, per un valore di 30 miliardi di dollari.
Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, la cancelliera e il suo staff  premono per concedere armamenti a tutti quei Paesi considerati importanti per la stabilità dello scacchiere medio orientale, e questo per evitare l'invio di soldati in zone ad alta tensione come ad esempio Iraq e Siria. Secondo gli esperti la decisione della Germania si inserisce all'interno di una strategia più ampia per contenere la minaccia iraniana attraverso alleanze strategiche con monarchie e regimi musulmani sunniti.
In molti però si domandano: cosa accadrebbe se tali armamenti finissero nelle mani sbagliate? Markus Kaim, ricercatore dell'Istituto per la sicurezza e gli affari internazionali, avverte sui rischi di questa strategia. Egli spiega che la vendita di armamenti a governi totalitari come l'Arabia Saudita o a fazioni particolari come il caso siriano rischiano di aumentare i pericoli di destabilizzazione. Esempi del fallimento di questa strategia sono l'Afghanistan, dove negli anni '80 la vendita di armi pesanti a ribelli talebani nella guerra contro i sovietici ha aiutato la creazione di uno dei più feroci regimi islamici del mondo. In Indonesia il governo ha utilizzato mezzi blindati e armi pesanti comprate ai governi occidentali, fra cui la Germania, contro i ribelli della Papua occidentale. Il caso più recente riguarda l'Arabia Saudita, che nel 2011 ha inviato truppe e blindati per reprimere le rivolte pro-democrazia esplose nel vicino Bahrain.


venerdì 27 luglio 2012

Danilo Quinto: “così il luciferino Pannella è riuscito a rubarmi la vita”

Da: corrispondenzaromana.it/



(di Stefano Lorenzetto su Il Giornale del 22-07-2012) Il re è nudo. Nudo come quella volta che ricevette un attonito Gaetano Quagliariello, facendosi trovare in ammollo nella vasca da bagno a piagnucolare: «Vorresti dimetterti proprio ora e lasciarmi così? Non ti rendi conto del dolore che mi dai?», e l’attuale senatore del Pdl non riuscì a dire nulla, «capii solo che dovevo sottrarmi e scappare», avrebbe confessato anni dopo.
È devastante il ritratto di Marco Pannella che esce dalle 208 pagine del libro Da servo di Pannella a figlio libero di Dio, scritto da Danilo Quinto, per dieci anni tesoriere del Partito radicale, edito da Fede & Cultura e dedicato alla «più formidabile macchina mangiasoldi della partitocrazia italiana», così il sottotitolo, «una famiglia allargata dove tutto ciò che era privato diveniva anche pubblico, dove ci si accoppiava e ci si cornificava fra di noi, dove il massimo della gratificazione era salutare Pannella baciandolo sulle labbra quando si presentava alle riunioni mano nella mano con l’ultimo dei suoi fidanzati ventenni e lo imponeva come futuro dirigente o parlamentare». Anche Quinto a un certo punto della propria vita ha capito che doveva svincolarsi dall’abbraccio soffocante del suo attempato pigmalione e fuggire.
Alla fine c’è riuscito. Ma a che prezzo: «Tre gradi di giudizio nel tempo record di quattro anni, con una sentenza della Cassazione che, pur riducendomi la pena di oltre la metà e concedendomi il beneficio della non menzione, mi condanna a 10 mesi per appropriazione indebita, consentendo a Pannella di darmi pubblicamente dell’impostore, dell’estorsore e del millantatore. Peggio di Luigi Lusi, insomma».
Il leader radicale dimentica di aggiungere che dev’essere anche un vero cretino, questo Quinto, che dal 1995 al 2005 ha procurato al partito finanziamenti per ben 45 milioni di euro, ne ha maneggiati 19. 651. 357 di entrate e 20. 976. 086 di uscite, eppure si sarebbe degnato di mettersi in tasca solo un misero 0, 32% di questo fiume di denaro, cioè 206. 089, 23 euro, «spese effettuate con la carta di credito, facenti parte del mio stipendio, sulle quali ho persino pagato le tasse, tutte regolarmente contabilizzate, oggetto di ricevute e dichiarate nei bilanci approvati dai vari congressi», ma sulle quali la magistratura in primo grado ha evitato di ordinare una perizia nonostante l’imputato non si rifugiasse nella prescrizione, e sarebbe arrivato a sgraffignare l’astronomica somma di 2. 151, 77 euro nell’ultimo anno in cui era in carica, e oggi è costretto a vivere della sua povertà: «Non possiedo una casa e neppure un’auto, non ho un conto corrente, sono indebitato fino al collo, ho dovuto abbandonare Roma e rifugiarmi nella natia Bari, mantengo la famiglia con un contratto a progetto da 1. 200 euro al mese che scadrà il 31 dicembre, non avrò mai diritto alla pensione». Peccato che Pannella si sia accorto solo dopo vent’anni che il suo collaboratore di fiducia era «un impostore dedito ad attività truffaldina», nonostante la conclamata bravura nel reperire tutti i mesi i soldi per pagare gli stipendi ai 150 dipendenti del Partito radicale.
Una resipiscenza sopraggiunta peraltro solo il giorno in cui Quinto ha avviato una causa per vedersi riconosciuto dai giudici il dovuto, e cioè 6 milioni di euro, poi ridotti a 2: «Vent’anni di lavoro occasionale per 13-14 ore al giorno, senza contratto, senza contributi versati all’Inps, senza ferie, con presenza in sede anche il sabato, la domenica, a Natale, a Capodanno, a Pasqua. Aggiunga il mancato riconoscimento del rapporto subordinato, il mancato adeguamento dello stipendio al ruolo dirigenziale e la mancata corresponsione del Tfr». La causa è pendente davanti alla Corte d’appello di Roma.
Quinto, 56 anni, giornalista, un esame mancante alla laurea in giurisprudenza, s’è persuaso che il re nudo sia la personificazione di Satana e assicura d’averne avuto una controprova il giorno in cui, dimessosi dall’incarico di tesoriere, andò a ritirare le sue poche cose nella storica sede romana dei radicali, in via di Torre Argentina, dove ha lavorato, ma sarebbe più esatto dire vissuto, dal 1987: «Mi ero fatto accompagnare da padre Francesco Rivera, un esorcista. All’uscita mi disse: “Sai, Danilo, ho avvertito molto forte la presenza del diavolo in quelle stanze. Ringrazia Dio che ti ha salvato”».
La salvezza s’è presentata a Quinto con le sembianze di Lydia Tamburrino, un soprano originaria di Cassino cresciuta alla scuola di Franco Corelli, Placido Domingo e Montserrat Caballé, una credente dalla fede adamantina che l’allora tesoriere del Pr conobbe in una villa sull’Appia Antica, a una proiezione privata del film Diario di Matilde Manzoni di Lino Capolicchio, regista col quale la cantante lirica aveva esordito a Lucca in Bohème. «Fu un colpo di fulmine. Quando annunciai a Pannella che stavo per sposarmi, ammutolì. Come osavo? Non avevo chiesto il suo permesso! “È una che conosciamo?”, borbottò. Alla mia risposta, commentò con tono di scherno: “Ah, allora potrà fare degli spettacoli per noi”. Da quel despota che è, già considerava anche Lydia di sua proprietà. Non credo proprio, lo raffreddai. Lì cominciò la guerra per annientarmi».
Profumo d’incenso e odore di zolfo, si sa, non vanno d’accordo. Forse Pannella aveva fiutato il pericolo che quella donna incarnava. Infatti sarebbe stata lei a convincere il marito che non doveva più lavorare per il Partito radicale, a farlo riaccostare alla confessione dopo 30 anni, a riportarlo a messa tutte le domeniche. «Al nostro matrimonio religioso non venne nessuno degli amici con i quali avevo condiviso un ventennio di vita, a parte l’ex segretario Sergio Stanzani, che si presentò all’aperitivo e solo per un quarto d’ora».
Avrà temuto le ire del capo. «Sergio era succube di Pannella. Quando nel 1995 fu deciso che gli esponenti radicali dovevano denudarsi pubblicamente al teatro Flaiano di Roma, era terrorizzato: “Se non lo faccio, Marco non mi candiderà alle prossime elezioni”. Gli consigliai di andarsene in vacanza per evitare il ricatto. Ma il richiamo manipolativo del capo era troppo forte. Che tristezza vedere un uomo di 72 anni nudo in palcoscenico contro la sua volontà, con le mani sul pene, rannicchiato dietro un albero stilizzato. Se ci pensa bene, il corpo è al centro di tutta l’ideologia pannelliana, che vuole decidere come disporne e decretarne la morte, come garantirne la trasformazione nel corso della vita per assecondare le più disparate identità sessuali, come abusarne con sostanze che lo devastano. In una parola, non rispettarlo, consumarlo». I digiuni estremi bene non fanno. «Estremi ma furbi. Il suo medico di fiducia mi svelò che quando Pannella decise di bere la propria urina davanti alle telecamere del Tg2, la sera prima la fece bollire e conservare in frigo per attenuarne il sapore».
In compenso nel 2002 persino il presidente della Repubblica si preoccupò delle condizioni di salute del guru e chiamò in diretta Buona domenica per indurlo a sospendere lo sciopero della sete. «Povero Carlo Azeglio Ciampi! Conservo il nastro di una riunione di partito – c’era questa mania di far registrare tutto, degna del Kgb – in cui Pannella gli dà della testa di cazzo. Un déjà vu. Marco è stato il grande elettore di Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale, salvo definirlo “don Rodrigo, eversore e fuorilegge” quattro anni dopo, invitandolo a “fare un passo indietro, fino al limite della galera”». Se è per quello, costrinse con accuse false il povero Giovanni Leone alle dimissioni e poi andò a chiedergli scusa poco prima che morisse. «Ora coccola Giorgio Napolitano e ne loda “la davvero straordinaria, quotidiana, pubblica, sapiente opera e fatica”. Però negli ultimi giorni ha cambiato musica. Siccome, stando a Italia Oggi, il mio libro avrebbe stoppato la campagna per la sua nomina a senatore a vita, si lamenta a Radio Radicale perché il capo dello Stato non è un liberale, è un ex comunista di cultura togliattiana. Lui fa sempre così: quando vuole ottenere qualcosa, minaccia».
Pannella è iscritto alla massoneria?«Non penso. Però mantiene con essa rapporti strettissimi. Del resto Giorgio Gaber nel monologo L’abitudine diceva: “Io, se fossi Licio Gelli, mi presenterei nelle liste del Partito Radicale”. Il capo della P2 fu sul punto d’essere candidato dal Pr come una qualsiasi Cicciolina. A questo scopo suo figlio Maurizio ebbe una serie d’incontri con Pannella in un albergo romano di via Veneto. Posso testimoniare che Gelli junior è stato un grande finanziatore del partito». Che altro può testimoniare?«Che Radio Radicale ripianava i debiti della Lista Pannella col denaro ricevuto dallo Stato. Non poteva farlo, era contro la legge. Con una convenzione ad hoc e senza gara d’appalto, Radio Radicale dal 1998 incassa 10 milioni di euro l’anno per mandare in onda le sedute parlamentari che potrebbero essere trasmesse gratis dalla Rai. In più la legge sull’editoria le garantisce altri 4, 3 milioni di euro in quanto organo della Lista Pannella, che peraltro non ha eletti in Parlamento.
Ho denunciato tutto questo allo stesso procuratore della Repubblica che mi ha rinviato a giudizio. A tutt’oggi non mi è stata neppure comunicata l’archiviazione dell’esposto. Come se non l’avessi mai presentato». Perché i radicali erano indebitati?«Pannella spende patrimoni per le sue carnevalate. La sola campagna Emma for president del 1999 per candidare la Bonino al Quirinale ci costò 1, 5 miliardi di lire. All’annuncio che Marco voleva la sua cocca sul Colle, lei svenne o fece finta di svenire, non s’è mai capito bene, durante una riunione notturna in un albergo di Monastier, nel Veneto. Ha sperperato un mare di quattrini nel disegno megalomane e fallimentare del Partito Transnazionale, che aveva 20 sedi nel mondo, da Baku, nell’Azerbaigian, a New York, dove mi spedì a lavorare per sei mesi. Fu lì che vidi i solidissimi rapporti esistenti fra la Bonino, frequentatrice con Mario Monti del Gruppo Bilderberg, e lo spregiudicato finanziere George Soros, il quale nel 1999 prestò un miliardo di lire ai radicali. E fu lì che lessi il fax inviato da Pannella alla stessa Bonino quando la fece nominare commissaria europea nel 1994: “Cara principessa, ora tutti s’inchineranno ai tuoi piedi”».
Oltre che spendaccione, che tipo è Pannella?«Un pusillanime. Nell’ultimo colloquio che abbiamo avuto, teneva gli occhi bassi. Riaffermando la mia fede cristiana, riconquistavo la libertà, e questo gli metteva paura. Pur sapendo quale vendetta mi attendeva, ho provato molta pena per lui. Qualche tempo dopo Lydia lo ha incontrato per strada nei pressi di via del Tritone. Pannella le ha voltato le spalle fingendo di guardare le vetrine d’un negozio di strumenti d’acconciatura per donna. E dire che allora non portava la fluente coda di capelli bianchi che oggi tiene annodata lungo la schiena. Non ha avuto il coraggio di girarsi neppure quando mia moglie ha recitato ad alta voce, perché lui sentisse, il Padre nostro e l’Ave Maria».
Solo pusillanime?«Intelligente. Grande manipolatore. Ha attraversato 50 anni di politica italiana stando sempre nel ventre caldo della vacca, la partitocrazia, fingendo d’esserne fuori e di combatterla. La sede vera del Partito radicale è casa sua, in via della Panetteria, vicino alla Fontana di Trevi, frequentata assiduamente dai tre o quattro uomini che ha amato nel corso della sua vita. L’approvazione e l’esaltazione dell’omosessualità e della bisessualità non solo è connaturata al mondo radicale, ma rappresenta lo strumento attraverso il quale si formano le carriere politiche». Eppure cita in continuazione le Sacre Scritture. «E che cosa sa fare il diavolo, se non cercare malamente d’imitare Dio? Da anni usa una sua foto, scattata durante un incontro con Papa Wojtyla al quale partecipavano il dc Flaminio Piccoli e molti altri parlamentari, per vantarsi d’aver avuto un filo diretto con Giovanni Paolo II. Sostiene persino che il Pontefice ascoltava le sue concioni a Teleroma 56. Mi dispiace che Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, sia andato a farsi intervistare da Radio Radicale per confermare quest’amicizia inesistente. Fa il paio con la stoltezza di don Gianni Baget Bozzo, pace all’anima sua, che lo venerava e diceva di lui: “Pannella in realtà è una figura interna alla cristianità italiana, non è un politico: è un profeta”».
Lei sta demolendo la persona alla quale ha consacrato metà della sua vita. «Lo so, e mi considero per questo un grande peccatore, che ha alimentato l’opera di devastazione che Pannella ha compiuto sull’identità cristiana di questo Paese. Ha confuso la libertà col desiderio. Ha portato l’Italia a non distinguere più il bene dal male. Ha distrutto milioni di vite umane con l’ideologia abortista. Per questa ragione combatte la Chiesa. Nella sua intelligenza luciferina, sa che gli sopravviverà». Questo è sicuro. «Prigioniero di un delirio d’onnipotenza, a 82 anni sta evitando i conti con una categoria che non gli appartiene: la morte. Dovrebbe pregare, come fa mio figlio che di anni ne ha appena 7

L’indignazione della Comunità ebraica per il rifiuto del Comitato Olimpico di commemorare la strage degli atleti israeliani



Ieri sera alle ore 20 davanti alla Sinagoga di Torino abbiamo commemorato gli undici atleti israeliani massacrati a Monaco. Sono stati letti i loro nomi, una candela è stata accesa ad ogni nome, e sono state lette le loro storie. Poche parole, certo, ma sufficienti perché quegli uomini entrassero per sempre, perché sapessimo quanti bambini hanno lasciato, perché sapessimo quali di loro erano gli unici superstiti di famiglie, ma forse sarebbe meglio dire stirpi, sterminate dalla Shoà.
1.  David Berger, 28 anni, pesista, nato negli Stati Uniti d’America e recentemente emigrato in Israele
2.  Ze’ev Friedman, 28 anni, pesista, nato in Polonia e sopravvissuto alle persecuzioni razziali
3.  Yossef Gutfreund, 40 anni, arbitro di lotta greco-romana, padre di due figlie
4.  Eliezer Halfin, 24 anni, lottatore, nato in Unione Sovietica, cittadino israeliano da pochi mesi
5.  Yossef Romano, 31 anni, pesista, nato in Libia, padre di tre figli e veterano della Guerra dei Sei Giorni
6.  Amitzur Shapira, 40 anni, allenatore di atletica leggera, nato in Israele, padre di quattro figli
7.  Kehat Shorr, 53 anni, allenatore di tiro a segno, nato in Romania, aveva perso la moglie e una figlia durante le persecuzioni razziali
8.  Mark Slavin, 18 anni, lottatore, nato in Unione Sovietica ed emigrato in Israele nel maggio 1972
9.  André Spitzer, 27 anni, allenatore di scherma, nato in Romania e padre di una bimba di pochi mesi
10.              Yakov Springer, 51 anni, giudice di sollevamento pesi, nato in Polonia e unico sopravvissuto del suo nucleo familiare alle persecuzioni razziali
11.              Moshe Weinberg, 33 anni, allenatore di lotta greco-romana, nato in Israele
Questi uomini erano andati a Monaco a rappresentare non solo il piccolo stato di Israele, ma l’enorme tragedia della Shoà. Il significato della loro presenza non sarebbe stata  la stessa se le Olimpiadi fossero state fatte in un’altra nazione. Erano in Germania, il luogo i cui abitanti avevano considerato gli ebrei, i corpi degli ebrei, degni solo della morte. Questi uomini erano andati a mostrare la loro forza in nome di un popolo che la Germania avrebbe voluto cancellare, in nome di una nazione che un terzo del mondo, ed è il terzo peggiore, vorrebbe distruggere.
Dopo il massacro, mentre le vedove piangevano i loro sposi, i figli i padri persi per sempre, le Olimpiadi non si sono interrotte. Il mondo ha giocato a palla e corso i cento metri sul luogo dove l’ennesimo sangue di ebrei è stato versato sul suolo tedesco.
Queste sono state le parole pronunciate in Sinagoga dal Rabbino  Alberto Moshe Somekh. Nella corrispondenza dei numeri la storia delle origini e quella attuale si saldano, dimostrandoci come ovunque ci sia un disegno che ci indica la strada e ci fa sapere che non siamo dispersi.
:Commemoriamo questa sera gli undici atleti della squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco 1972 a quarant’anni dalla loro tragica fine.  C’è a ben vedere un legame stretto fra la tristissima occasione che ci ha richiamato qui e il calendario sinagogale di questa settimana. Anzitutto perché ci troviamo nei“nove giorni” all’inizio del mese di Av, a proposito dei quali i nostri Maestri hanno sentenziato: “Da quando comincia Av si riducono le manifestazioni di gioia” (Mishnah Ta’anit 4,6) in memoria del Bet ha-Miqdash distrutto. Questo periodo assurge a simbolo della memoria delle numerose tragedie nazionali che il nostro popolo ha vissuto nell’arco della sua lunga Storia, dall’inizio della Diaspora alla cacciata dalla Spagna per limitarci ad alcuni esempi salienti.
Ma non solo. La Parashat Devarim che si legge questo Shabbat esordisce con i versetti seguenti. “Undici giorni ci sono dal Monte Sinai, attraverso il Monte di Se’ir, fino a Qadesh Barnea’. Il primo giorno dell’undicesimo mese del quarantesimo anno dall’Uscita dall’Egitto Moshe disse ai Figli d’Israel tutto ciò che H. gli aveva comandato di dir loro” (1, 2-4). L’analogia dei numeri undici e quaranta è sorprendente!  Rashì commenta che undici giorni sarebbero bastati per coprire il percorso dal Monte Sinai fino ai confini della Terrad’Israele, ma per le note ragioni “vi ha costretto a girare intorno al Monte Se’ir per quarant’anni”!
Ogni vita umana, dice il Salmista, è ke-yom etmòl ki ya’avor, “come il giorno di ieri che passa, … come erba che al mattino fiorisce e cresce e alla sera avvizzisce e secca” (90, 4-5). Ognuno di noi è come il sole, che sorge, raggiunge lo Zenit e tramonta, nostro malgrado, nell’arco della sua giornata. Undici giorni simboleggiano undici vite, tramontate ahimè troppo presto, in modo tragico e assurdo, per mano assassina. Individui che non avevano alcuna colpa, che erano convenuti in Germania per rappresentare lo Stato d’Israel al massimo appuntamento sportivo mondiale, ciò che si proponeva e si propone tuttora di essere, nella mente dei promotori, motivo di fratellanza universale e quindi di distensione internazionale.
Ricordo a questo proposito che il numero undici ha anche un’ulteriore valenza nel calendario ebraico. Sappiamo bene che il nostro calendario è luni-solare. Compensa e concilia in sé i due principi sui quali i popoli del Mediterraneo misurano il trascorrere del tempo: quello dell’anno solare, tipico della tradizione occidentale, e quello dell’anno lunare seguito in Oriente. Sappiamo anche bene che l’anno solare conta 365 giorni, mentre quello lunare 354: la differenza è dunque di undici giorni!
Da sempre la vocazione di noi Ebrei, volenti o nolenti, è quella di fare da ponte fra le due culture. In un periodo storico come l’attuale in cui l’odio fra Occidente e Oriente pare inasprirsi, possa il sacrificio delle undici giovani vite lasciare il segno in una direzione diversa. Giunti alla vigilia di una nuova competizione olimpica c’è solo da augurarsi che prevalga nelle coscienze uno spirito di autentica solidarietà e collaborazione fra le nazioni, nel solco dell’insegnamento, formalmente condiviso da tutti, della Bibbia d’Israel.
Eretz al tekhassì damàm we-al yehì maqòm le-za’aqatam; bi-zkhutàm yashuvu nidchè Israel la-achuzzatam. “Terra non coprire il loro sangue e non vi sia luogo al loro grido. Per il loro merito tornino i dispersi d’Israel al loro possesso”. Come già ci vollero quarant’anni dall’Uscita dall’Egitto perché i Figli d’Israel potessero entrare nella Terra Promessa, anche noi auspichiamo che al compimento del quarantesimo anno  dall’immane tragedia degli atleti di Monaco possano finalmente le loro anime trovare riposo e tutti noi consolazione nella speranza, mai si dica nell’illusione, di un mondo più giusto.
Rav Alberto Moshe Somekh
Nella piazza, tutti insieme, abbiamo acceso le candele e ricordato questi uomini.
Tutti insieme, abbiamo cantato il bellissimo inno di Israele che vuol dire Speranza.
Tutti insieme, ebrei e cristiani abbiamo ricordato i morti e ci siamo anche detti che noi, la gente come noi, noi che amiamo la vita, amiamo Israele, amiamo la pace, costruiremo un mondo dove la vita, Israele e la pace saranno sacri.
Siamo realisti e quindi crediamo nel miracoli
Silvana De Mari

Il 59% degli italiani è contrario al riconoscimento delle coppie gay


(su Uccr del 24-07-2012) Secondo un’analisi del noto sociologo Renato Mannheimer, docente di Analisi dell’opinione pubblica presso l’Università degli studi Milano-Bicocca e collaboratore de “Il Corriere della Sera”, su cui appunto è divulgata la notizia, la maggioranza (59%)degli italiani si oppone al riconoscimento legale/matrimonio delle coppie omosessuali.
Mannheimer, lo diciamo per i militanti della lobby gay che certamente andranno a rovistare nella sua vita privata cercando argomenti per screditare la sua indagine sociologica, è stato militante in gioventù della sinistra extraparlamentare e sposato con l’ex ministro delle Pari Opportunità del PD,“gay-friendly”Barbara Pollastrini. Una persona, dunque, al di sopra dei sospetti.
Di fronte al quesito se riconoscere o meno anche legalmente le unioni – assimilabili ai matrimoni – tra omosessuali, i contrari prevalgono per il 59%, a fronte del 40% di favorevoli. Molto basso il numero dei “non so” che, contrariamente a quanto accade per molti altri argomenti, mostra che la quasi totalità dei cittadini si è, col tempo, formata una precisa opinione al riguardo. La posizione della gente, anche grazie alla furiosa e asfissiante quotidiana campagna omosessualista inscenata sui principali mass-media (radio compresa), è comunque mutata rispetto a sette anni fa, quando i contrari erano il 66% contro 32% di favorevoli.
Per quanto riguarda le fasce di età, le persone più sagge e mature come gli over 65, mostrano una maggiore avversità alle unioni gay (76% di contrari), nella fascia 45-64 anni sono invece contrari il 55% (contro il 44% dei favorevoli), anche tra coloro che vanno dai 24 ai 44 anni i contrari sono ancora una volta maggioritari, con il 51% (contro il 48%). Nei giovanissimi, 18-24 anni, i favorevoli sono in maggioranza per il 51%, contro il 49% di contrari. Rispetto al titolo di studio, il 53% dei laureati è contrario ad aprire al riconoscimento giuridico delle coppie gay.
Tra i cattolici, il 67% dei praticanti è contrario e dunque coerente con la posizione della Chiesa di cui intende fare parte. Inambito politico, tra i votanti per il Pdl, il 63% si dice contrario ai matrimoni tra omosessuali e il 37% favorevole, mentre tra gli elettori del Pd, la lieve maggioranza (53%) è sulla stessa posizione di avversità, a fronte del 46% di favorevoli.
Anche il magistrato iperlaicista Vladimiro Zagrebelsky ha affermato recentemente che «l’introduzione del matrimonio omosessuale, pienamente equiparato a quello tra persone di sesso diverso, trova divisa la società italiana». Ha poi giustamente sottolineato che «è sbagliato ritenere che l’opposizione sia solo di parte cattolica e che su questa come su altre questioni che hanno a che fare con l’etica sociale sia possibile tracciare un confine netto, tra una comunità cattolica e una che cattolica non è o non si sente». Infine, Zagrebelsky ha anche sorprendentemente riconosciuto che «non v’è omogeneità tra il matrimonio cui la Costituzione si richiama e l’unione omosessuale».
Lo scrittore Ruggero Guarini ha invece evidenziato 5 motivi per cui, secondo lui, non legalizzare le unioni gay. In sintesi: 1)solo il matrimonio tradizionale è naturalmente aperto alla procreazione, per questo lo Stato non può non riconoscerli unaspeciale natura giuridica; 2) Il termine “matrimonio” esclude anche etimologicamente gli omosessuali, in quanto esso deriva de “mater”, ovvero l’apertura alla procreazione; 3) Rischio di stravolgimento concettuale di termini come “moglie”, “marito”, “padre” e “madre”, già sentiti come discriminatori verso coloro che non lo possono essere; 4) I problemi pratici e legalipossono essere risolti anche senza l’esigenza del matrimonio, ma attraverso precise misure giuridiche; 5) Politicamente si tratta di una mera strumentalizzazione del movimento gay, che in realtà non è interessato davvero come ha spiegato Imma Battaglia, presidente DigayProject e come evidenziato da un’inchiesta di “KlausCondicio”.
Giuliano Ferrara su “Il Foglio” ha spiegato perché l’estensione del matrimonio tradizionale ai gay non è un fatto di giustizia o di codice civile, mentre il giurista Francesco D’Agostino ha svelato il sofisma per cui si vuole far credere che la legalizzazione del matrimonio gay sia per la tutela di un «privato» interesse di coppia,  mentre il matrimonio ha invece una chiara valenza pubblica e mette in gioco interessi sociali di carattere generale e antropologico.

Gianfranco Amato: internet e pornodipendenza minorile


Da Corrispondenzaromana.it

(di Gianfranco Amato) Si è svolto a porte chiuse il processo davanti la High Court di Edimburgo sul caso di un dodicenne accusato di stupro e abusi sessuali nei confronti di una bimba di nove anni. Il giovane imputato, oggi quattordicenne, si è dichiarato colpevole ed ha così evitato la prigione. Sarà sottoposto ad una lunga riabilitazione sotto stretta sorveglianza. Le particolari circostanze di questo caso non risiedono tanto nella giovane età dei protagonisti, quanto nelle motivazioni che hanno scatenato gli eventi. Il ragazzo ha confessato, infatti, di essere dipendente dalla pornografia online, e di aver iniziato ad abusare della piccola figlia del vicino di casa dopo l’ennesima visione di un filmato hard core. Voleva “sentirsi grande”.
Il dramma è venuto alla luce quando la bambina, accusando dei dolori addominali, ha dichiarato alla madre di temere di avere «un bimbo nel pancino».  Da qui la non facile confessione di quanto accaduto. La polizia ha poi accertato che gli abusi si sono protratti in un arco di tempo dal 1° dicembre 2010 al 31 gennaio 2011. L’avvocato Sean Templeton, difensore del ragazzo, ha parlato della vicenda come della «punta dell’iceberg» di un ben più diffuso fenomeno nel Regno Unito, essendo moltissimi, purtroppo, «i casi non conosciuti, non denunciati e rimasti nell’ombra». Lo scorso 18 aprile 2012 un’apposita commissione parlamentare d’inchiesta, la Independent Parliamentary Inquiry into Online Child Protection, ha reso pubbliche le conclusioni cui è giunta in una relazione finale, in cui sono stati denunciati i rischi d’emulazione e la relazione tra violenza e pornodipendenza minorile.
I dati ufficiali resi in quel documento sono agghiaccianti. Quasi un bambino su tre, al di sotto dei dieci anni, ha visto immagini sessualmente esplicite online, e la stragrande maggioranza dei minori ha libero accesso su internet senza controllo di adulti (si consideri che l’età media del primo contatto col mondo del web è di otto anni in Gran Bretagna), mentre quattro adolescenti su cinque di ambo i sessi, compresi fra i 14 ed i 16 anni, guardano indisturbati a casa propria immagini pornografiche online. Questo è il background che ha portato al triste caso deciso dall’Alta Corte di Edimburgo, in  merito al quale si può aggiungere una considerazione.
Il 7 maggio 1989 il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali emanava un documento intitolato Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione – Una risposta pastorale, analizzava la relazione tra pornografia e violenza: «E’ stato detto che esisterebbe un legame fra pornografia e violenza sadica; un certo tipo di pornografia è marcatamente violenta nella sua espressione e nei suoi contenuti», e «coloro che guardano o leggono produzioni di questo tipo, corrono il rischio di trasferire questi atteggiamenti nel loro comportamento e possono arrivare a perdere ogni rispetto per gli altri, che pure sono figli di Dio e fratelli e sorelle della stessa umana famiglia».
 Ricordo ancora le rabbiose reazioni che seguirono a quel documento, e le consuete accuse ad una Chiesa sessuofoba, incapace di accorgersi del “cambiamento dei tempi”, arroccata nel Medioevo arcaico del suo oscurantismo. Erano quelli i tempi del mito dell’educazione sessuale, dell’emancipazione del porno, e della nudità come ingrediente necessario e indispensabile in tutti i campi dello scibile umano (carta stampata, pubblicità, arte, cinema, ecc.). Oggi i fatti che siamo costretti a commentare confermano quanto fossero profetici, come sempre, gli ammonimenti della Chiesa. Dopo averli contestati ora li condividono tutti, Parlamento inglese compreso. Con ventitre anni di ritardo. (Gianfranco Amato)