Eravamo da sempre il Paese più europeista. Fino a un anno fa. In dodici mesi
la fiducia degli italiani
nell’Unione europea è precipitata. Secondo l’ultimo rilevamento dell’Ipsos ha
perso addirittura 21 punti percentuali (passando dal 74 per
cento al 53).
Un crollo che dovrebbe far riflettere i politici e soprattutto le tecnocrazie
europee a cui gli italiani sono sempre più ostili.
Anche perché il crollo della fiducia degli italiani non è un fatto emotivo
passeggero, né uno stato d’animo superficiale. Al contrario. Il loro europeismo
era a prova di bomba.
UN ESPERIMENTO
FOLLE
Hanno accettato di fare sacrifici per entrare nella moneta unica, hanno
accettato perfino di farsi spennare da un cambio lira/euro estremamente
penalizzante e poi hanno subito – senza fiatare – il sostanziale raddoppio di
tutti i prezzi con l’inizio dell’euro (un impoverimento di massa).
La loro fiducia è crollata solo davanti alla scoperta che la sospirata
“moneta unica” – che tanto ci era costata – realizzata in quel modo (senza una
banca centrale e un governo come referenti ultimi) era una trovata assurda e
fallimentare di tecnocrazie incompetenti e arroganti.
Grazie a questo incredibile esperimento, l’Italia – un Paese solvibilissimo e
che ha la sesta economia del pianeta – sta ora rischiando il fallimento (del
tutto ingiustificato visti i suoi fondamentali).
Quello che gli italiani
ignorano è che tale disastro era stato previsto. E pure che la china
antidemocratica che l’Ue sta imboccando da venti anni a questa parte era
evidente ed era stata denunciata.
L’affievolimento della democrazia e dei diritti individuali, la dittatura del
“politically correct”, è qualcosa a cui purtroppo facciamo meno caso – come si
vede in queste settimane in Italia – ma è perfino
più grave del fallimento politico ed
economico della Ue.
UNA VOCE
PROFETICA
Una delle voci nel deserto che videro in anticipo è quella di un eroico
dissidente russo,
Vladimir
Bukovsky, uno così temerario e indomabile che già a venti anni era inviso al
regime comunista sovietico il quale lo rinchiuse nei manicomi politici e nel
gulag, torturandolo (infine – pur di disfarsene – lo cacciò via
nel 1976 in cambio della liberazione in Cile del leader comunista Luis
Corvalan).
Ebbene, Bukovsky, in una conferenza nell’ottobre del 2000, riportata di
recente su “Italia oggi”, se n’era uscito con affermazioni che sembrarono allora
esagerate, che forse lo sono, ma che – alla luce degli ultimi eventi – rischiano
di essere semplicemente profetiche.
Non mi riferisco solo a eventi come il commissariamento dell’Italia e della
Grecia e il tentato commissariamento (in corso) dell’Ungheria, ma anche alle
cessioni di sovranità dei diversi stati mai sottoposte ai referendum popolari o
alle “bocciature” di tali cessioni (nei referendum o nei parlamenti) che sono
state sostanzialmente ignorate.
“Per quasi 50 anni” disse
Bukovsky
“abbiamo vissuto
un grande pericolo sotto dell’Unione Sovietica, un paese aggressore che voleva
imporre il suo modello politico a tutto il mondo. Diverse volte nella mia vita
ho visto per puro miracolo sventare il sogno dell’Urss. Poi abbiamo visto la
bestia contorcersi e morire davanti ai nostri occhi. Ma invece di esserne
felici, siamo andati a crearci un altro mostro. Questo nuovo mostro è
straordinariamente simile a quello che abbiamo appena seppellito”.
Si riferiva all’Unione europea. Argomentava:
“Chi governava l’Urss?
Quindici persone, non elette, che si sceglievano fra di loro. Chi governa l’Ue?
Venti persone non elette che si scelgono fra di loro”.
Bisogna riconoscere che oggi abbiamo addirittura governi non eletti (come
quello italiano) con un programma dettato dalla Bce.
Diceva ancora Bukovsky:
“Come fu creata l’Urss?
Soprattutto con la forza militare, ma anche costringendo le repubbliche a unirsi
con la minaccia finanziaria, facendo loro paura economicamente. Come si sta
creando l’Ue? Costringendo le repubbliche a unirsi con la minaccia finanziaria,
facendo loro paura economicamente. Per la politica ufficiale dell’Urss le
nazioni non esistevano, esistevano solo i ‘cittadini sovietici’. L’Ue non vuole
le nazioni, vuole solo i cosiddetti ‘europei’. In teoria, ogni repubblica
dell’Urss aveva il diritto di secessione. In pratica, non esisteva alcuna
procedura che consentisse di uscirne. Nessuno ha mai detto che non si può uscire
dall’Europa. Ma se qualcuno dovesse cercare di uscirne, troverà che non è
prevista nessuna procedura”.
Bukovsky arrivava fino a giudizi pesantissimi, sicuramente esagerati, ma chi
ha subito ciò che lui ha subito in difesa della libertà di coscienza ha tutto il
diritto di essere ipersensibile a ogni violazione della libertà di pensiero e
dei diritti individuali:
“L’Urss aveva i gulag.
L’Ue” aggiungeva Bukovsky
“non ha dei gulag che si vedono, non c’è una
persecuzione tangibile. Ma nonostante l’ideologia della sinistra di oggi sia
‘soft’, l’effetto è lo stesso: ci sono i gulag intellettuali. Gli oppositori
sono completamente isolati e marchiati come degli intoccabili sociali. Sono
messi a tacere, gli si impedisce di pubblicare, di fare carriera universitaria
ecc. Questo è il loro modo di trattare con i
dissidenti”.
Un’esagerazione certamente, ma è la sua stessa vicenda personale a far
riflettere sulla libertà del pensiero e della cultura in Europa occidentale.
DITTATURA POLITICALLY
CORRECT
Quanti in Italia conoscono Vladimir Bukovsky, il leggendario dissidente,
l’eroico difensore della libertà di coscienza?
Eravamo pochissimi isolati che nei primi anni Settanta ne seguivamo le
peripezie (nei manicomi politici e nei lager): i miei coetanei – specie quelli
che oggi pontificano dai giornali come giornalisti, opinionisti e intellettuali
– avevano come loro mito i vari Mao, Fidel Castro e perfino Stalin.
Oggi molti di loro – dopo essersi autoassolti – impartiscono lezioni di
liberaldemocrazia dai mass media, ma senza mai aver fatto un vero “mea culpa”,
infatti continuano a cantare in coro. E continuano ad avere in gran dispetto le
voci libere come Bukovsky.
Il motivo semplice. Perché mette sotto accusa le élite culturali europee (e
anche quelle politiche). Perché è un uomo che – dopo aver sfidato il Kgb e la
cappa di piombo del regime sovietico – ha sfidato la cappa di piombo del
conformismo “politically correct” occidentale.
E’ uno che nei suoi libri scrive:
“Il comunismo è una malattia della cultura e
dell’intelletto… Le élite occidentali penso non capissero l’universalità di quel
male, la sua natura internazionale e quindi il carattere universale della sua
pericolosità”.
La sua ha continuato ad essere una voce scomoda e isolata perché – dopo il
crollo delle feroci nomenclature comuniste – non ha chiesto vendetta, ma ha pure
rifiutato che si autoassolvessero e restassero al potere.
Ha scritto in un suo libro:
“Noi siamo pronti a perdonare i colpevoli, ma
loro non devono assolversi da sé”.
E’ chiaro perché uno così,
in un paese come l’Italia, è sconosciuto e continua ad essere una voce
silenziata. Infatti quante volte è stato fatto parlare in tv o
sui giornali italiani?
Parla in Gran Bretagna, in America… Ma in Italia è una voce silenziata. Quali
case editrici hanno pubblicato i suoi libri? Prendiamo il volume che ha scritto,
dopo il crollo dell’Urss, quando poté tornare a Mosca e pubblicare i documenti
degli archivi del Cremlino: chi ha tradotto quel libro in Italia? La
piccolissima editrice Spirali.
Infatti “Gli archivi segreti di Mosca” è pressoché sconosciuto e ben pochi ne
han parlato sui giornali. Eppure riguardava anche noi italiani.
ALLARME
Voci profetiche come quella di Bukovsky devono far riflettere soprattutto in
un Paese come il nostro dove ha sempre scarseggiato la sensibilità per i diritti
dell’individuo e ha sempre abbondato il conformismo culturale, la prevaricazione
delle nomenklature e quella dello stato.
L’allarme del dissidente russo sull’Europa ci riguarda e ci deve far
riflettere. Oggi più che mai. Ma ancora una volta sono poche le voci sensibili
all’allarme sulla libertà.
Antonio Socci
Da “Libero”, 15 gennaio 2012

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