martedì 28 febbraio 2012

Proibito criticare l’islam. Difendere l’Europa pure



Criticizing Islam is forbidden. Defending Europe as well


Aiuto! L’invasione islamica è ormai una realtà. A sfondare la fragilissima prima linea valoriale e identitaria dell’Occidente è stata la potente armata dei taglia-lingua nel nome di Allah.
Il loro obiettivo è mettere al bando, qui dentro casa nostra, nella nostra culla della libertà, nella nostra patria dei diritti fondamentali della persona, qualsiasi critica e meno che mai condanna dell’islam come religione. L’islamofobia verrà bandita per legge in tutti gli stati europei, in ottemperanza ad una prima risoluzione, la 16/18 approvata dalla Commissione per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite a Ginevra nel marzo 2011 che contempla la lotta contro l’intolleranza, gli stereotipi negativi, la stigmatizzazione della discriminazione, l’incitamento alla violenza, l’uso della violenza contro le persone sulla base della loro appartenenza religiosa. Per la verità quest’insieme è esattamente ciò che ritroviamo nel Corano e nella predicazione d’odio, di violenza e di morte delle moschee, ma incredibilmente si ritorcerebbe contro coloro che non vogliono sottomettersi all’islam, al Corano, a Maometto e alla sharia, la legge imposta dal loro Allah.
Ed è così che lo scorso 15 e 16 febbraio a Bruxelles, con il benestare dell’Unione Europea, l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (Oic), finanziata dai sauditi e il cui attuale segretario generale è il turco Ekmeleddin Ihsanoglu, ha organizzato un seminario per denunciare la campagna anti-islamica presente in alcuni mezzi di comunicazione di massa in Occidente, con l’obiettivo di indicare ai partecipanti, compresi i giornalisti occidentali non islamici ma conniventi con gli islamici, come contrapporsi alla campagna mediatica anti-islamica. Questa iniziativa avrebbe già il sostegno di Obama e della Clinton.
Come è possibile che finiremo per imporci da soli il bavaglio? I teorici del relativismo nostrano, compresi quelli che si annidano nella Chiesa, per screditare il valore delle radici giudaico-cristiane della civiltà laica e liberale dell’Occidente, spesso fanno riferimento al versetto tratto dal Vangelo secondo Luca (6,43-49) che recita «ogni albero si riconosce dal suo frutto». A loro avviso non sono tanto importanti le radici bensì i frutti dell’albero. Una tesi che mira a mettere aprioristicamente e acriticamente sullo stesso piano tutte le religioni, le culture e le ideologie a prescindere dai loro contenuti perché, secondo i relativisti, si può aderire ai valori non negoziabili della sacralità della vita, della dignità della persona e della libertà di scelta partendo da radici diverse e finendo per condividere lo stesso frutto. Bene, ai relativisti nostrani ricordiamo la prima parte del versetto evangelico che chiarisce: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono». A che cosa mi riferisco? Dopo la sbornia ideologica che ha trascinato in modo pressoché compatto l’Occidente succube del materialismo e ammalato di relativismo ad infervorarsi per la cosiddetta «Primavera araba», caldeggiando l’indizione delle elezioni con il coinvolgimento delle forze d’opposizione islamiche che sono esplicitamente ostili ai diritti fondamentali della persona e alla democrazia sostanziale, oggi tocchiamo con mano i frutti dell’operato degli islamici che si sono imposti al vertice del potere.
Ovunque sta montando una campagna di condanna a morte, con l’emissione di fatwe (responsi giuridici), contro i «nemici dell’islam». In Arabia Saudita rischia di essere giustiziato il giovane giornalista Hamza Kashghari per essersi rivolto su Twitter in modo colloquiale a Maometto nella ricorrenza del suo compleanno scrivendo: «Non pregherò per te. Non m’inchinerò davanti a te. Non ti bacerò la mano». In Egitto Naguib Sawiris, cristiano copto, magnate della comunicazione mondiale, è già stato portato in tribunale per avere pubblicato sempre su Twitter l’immagine di Topolino e Minnie, l’uno con la barba da salafita, l’altra con il velo integrale.
In Tunisia sono sotto processo sia il direttore della tv Nessma fondata da Tarak Ben Ammar sia il direttore del settimanale Attounisia per oltraggio all’islam. Tanti altri casi di censura alla libertà d’espressione, nel nome dell’islam, si susseguono anche in Marocco, Algeria, Libia, Yemen, Pakistan, Nigeria, Indonesia e Malaisia. Ma il problema vero è che ormai non possiamo più permetterci il lusso di dissertare a distanza delle sciagure altrui. Dobbiamo occuparci direttamente e immediatamente delle nostre sciagure di cui noi siamo i veri responsabili. Sveglia Oc

Papa sull'infertilità: L'indifferenza al bene e al vero è una minaccia al progresso scientifico

25/02/2012 13:25
VATICANO da asianews

All'udienza per la XVIII Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita il Papa affronta il problema dell'infertilità nella coppia tema dell'incontro. La ricerca è spesso vittima di un approccio scientista che limita la dignità umana. "La procreazione non consiste in un 'prodotto', ma nel suo legame con l'atto coniugale, espressione dell'amore dei coniugi, della loro unione non solo biologica, ma anche spirituale". 


Città del Vaticano (AsiaNews) - "Non cedete mai alla tentazione di trattare il bene delle persone riducendolo ad un mero problema tecnico! L'indifferenza della coscienza nei confronti del vero e del bene rappresenta una pericolosa minaccia per un autentico progresso scientifico". È l'invito di Benedetto XVI a ricercatori e medici cattolici di tutto il mondo  riuniti a Roma per la XVIII Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita. L'incontro, sul tema "Diagnosi e terapia dell'infertilità" è iniziato lo scorso 23 febbraio e si è concluso oggi con l'udienza papale presso la Sala Clementina del Palazzo apostolico vaticano.
Nel suo discorso il papa ha lodato il lavoro di quei ricercatori che "davanti al problema dell'infertilità della coppia scelgono di richiamare e considerare attentamente la dimensione morale, ricercando le vie per una corretta valutazione diagnostica ed una terapia che corregga le cause dell'infertilità". Secondo il pontefice  "questo approccio muove dal desiderio non solo di donare un figlio alla coppia, ma di restituire agli sposi la loro fertilità e tutta la dignità di essere responsabili delle proprie scelte procreative, per essere collaboratori di Dio nella generazione di un nuovo essere umano".
"La dignità umana e cristiana della procreazione - ha affermato - non consiste in un "prodotto", ma nel suo legame con l'atto coniugale, espressione dell'amore dei coniugi, della loro unione non solo biologica, ma anche spirituale".
Benedetto XVI ha sottolineato che "le legittime aspirazioni genitoriali della coppia che si trova in una condizione di infertilità devono pertanto trovare, con l'aiuto della scienza, una risposta che rispetti pienamente la loro dignità di persone e di sposi. L'umiltà e la precisione con cui approfondite queste problematiche, ritenute da alcuni vostri colleghi desuete dinanzi al fascino della tecnologia della fecondazione artificiale, merita incoraggiamento e sostegno".
Citando il suo discorso in occasione del X anniversario dell'Enciclica Fides et Ratio, il Papa ha fatto notare come "lo scientismo e la logica del profitto sembrano oggi dominare il campo dell'infertilità e della procreazione umana, giungendo a limitare anche molte altre aree di ricerca".
Il Papa ha affermato che la "Chiesa presta molta attenzione alla sofferenza delle coppie con infertilità, ha cura di esse e, proprio per questo, incoraggia la ricerca medica. La scienza, tuttavia, non sempre è in grado di rispondere ai desideri di tante coppie".
Agli sposi che vivono la condizione dell'infertilità il papa ha ricordato che essi "per la loro stessa vocazione battesimale e matrimoniale, sono sempre chiamati a collaborare con Dio nella creazione di un'umanità nuova". "La vocazione all'amore - ha sottolineato - infatti, è vocazione al dono di sé e questa è una possibilità che nessuna condizione organica può impedire. Dove, dunque, la scienza non trova una risposta, la risposta che dona luce viene da Cristo".
Benedetto XVI ha invitato coloro che lavorano in un contesto - medico scientifico dove la verità risulta offuscata "a proseguire il cammino intrapreso di una scienza intellettualmente onesta e affascinata dalla ricerca continua del bene dell'uomo", senza disdegnare nel proprio percorso intellettuale il dialogo con la fede. Citando l'appello espresso nell'Enciclica Deus caritas est il papa ha affermato che la fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio" (n. 28). D'altro canto proprio la matrice culturale creata dal cristianesimo - radicata nell'affermazione dell'esistenza della Verità e dell'intelligibilità del reale alla luce della Somma Verità - ha reso possibile nell'Europa del Medioevo lo sviluppo del sapere scientifico moderno, sapere che nelle culture precedenti era rimasto solo in germe".
In conclusione il papa ha  rinnovato ai partecipanti l'augurio del Concilio Vaticano II agli uomini di scienza: ""Felici sono coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare, per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri" (Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza, 8 dicembre 1965: AAS 58 [1966], 12).

Custode di Terra Santa a Shimon Peres: Fermare il vandalismo delle scritte ebraiche contro le chiese

27/02/2012 ISRAELE Da Asianews
 di Joshua Lapide

 P. Pizzaballa afferma che si è superata una "linea rossa" con le scritte violente e offensive alla chiesa battista, al monastero greco-ortodosso e a un cimitero cristiano del monte Sion. Gli slogan inneggiavano "Morte ai cristiani", "Vi crocifiggeremo", "Maria è una prostituta".
Tempo fa anche scritte offensive sul muro del Cenacolo.

 Gerusalemme (AsiaNews) - Con una lettera al presidente israeliano Shimon Peres, p. Pierbattista Pizzaballa ha chiesto che si possano fermare gli atti vandalici contro chiese e proprietà private che "feriscono i sentimenti dei cristiani" in Israele, dei pellegrini in Terra Santa e in tutto il mondo. P. Pizzaballa interviene dopo la serie di scritte e slogan in ebraico ritrovati sulla chiesa battista di Narkis Street, in un cimitero cristiano sul monte Sion e sul monastero greco-ortodosso nella Valle della Croce.

Gli slogan offensivi e violenti inneggiavano a "Gesù è morto"; "Morte ai cristiani", "Vi crocifiggeremo", "Maria è una prostituta". Alcune scritte erano anche riportate sui pneumatici di alcune auto parcheggiate nelle vicinanze delle comunità. Questo stile vandalico è stato definito "price tag" ("cartellino del prezzo") ed è molto diffuso in Israele. Esso è spesso usato da estremisti israeliani - e forse coloni - contro moschee, luoghi arabi di ritrovo, pacifisti israeliani.
La polizia pensa che nel caso degli atti contro le strutture cristiane si tratti non di nazionalisti e coloni estremisti, ma da individui isolati. Resta il fatto che tali gesti sono espressione di razzismo e di odio.

Qualche anno fa vi sono state scritte ebraiche di offesa e gesti di disprezzo contro i cristiani sulle mura del Cenacolo a Gerusalemme (v. 16/12/2009 Ancora scritte ebraiche anticristiane al Cenacolo e 12/12/2009 "Morte ai cristiani": scritte ebraiche vicino al Cenacolo a Gerusalemme). E sono diversi i sacerdoti che si lamentano di essere ogni tanto sputati o aggrediti verbalmente da giovani ebrei delle yeshiva. "Da quanto so,- scrive p. Pizzaballa - queste azioni non hanno ancora portato ad alcun arresto, ma esse sono un esempio doloroso di una serie di azioni simili eseguite di recente senza il minimo freno.
Come lei sa, non è mia pratica scrivere lettere di questo tipo. Le diverse comunità cristiane vivono in tranquillità e pace in Israele, con rispetto, apprezzamento e buone relazioni con ebrei e musulmani....

Purtroppo, attraverso gli anni, abbiamo imparato a ignorare le provocazione e continuare la nostra vita quotidiana. Sembra comunque che questa volta si sia superata una linea rossa e non possiamo rimanere in silenzio. Questi slogan stupefacenti spruzzati sui luoghi cristiani di preghiera, specialmente a Gerusalemme, feriscono il sentimento di tutti i cristiani in Israele, qualunque sia la loro confessione, come pure le centinaia di migliaia di pellegrini che visitano Gerusalemme e la Terra Santa, come pure i molti milioni nel mondo intero". "Le sarei grato - conclude il Custode - se lei potesse usare tutto il suo potere e la sua influenza con le autorità perché questo pericoloso stile di azioni sia sradicato e queste azioni vengano fermate, prima che divengano parte abituale della vita dei cristiani in Israele".

Ecco le bugie sullo spread Un conto di soli 5 miliardi e tutti per colpa della Ue L'Italia costretta a due manovre da 64 a 63 miliardi. La bufera sui Btp a dieci anni è costata solo 221 milioni più del 2010. Così si può vivere di rendita con i fondi

di Renato Brunetta - 27 febbraio 2012, 08:15 da Il giornale Quando la situazione si fa calda, bisogna tenere la testa fredda. Analizzando l’andamento degli spread sui titoli a 10 anni dei Paesi della zona euro e calcolati rispetto ai Bund, abbiamo capito alcune cose banali, ma fondamentali. 1.L’inizio della bufera è il Consiglio Europeo del 23- 24 giugno, con andamenti e picchi sincronizzati con le principali (non) decisioni europee, in particolare sulla Grecia. 2. La tempesta degli spread registra la stessa intensità in tutti i Paesi, con differenze di impatto legate alle situazioni interne, in particolare le dimensioni dei debiti sovrani. 3. Se lo spread è tradizionalmente considerato come la misura del rischio Paese, tuttavia esso, in questa congiuntura europea, prescinde in gran parte dai fondamentali delle singole economie nazionali. E questo è un paradosso ancora inspiegato. Ne è un esempio l’Italia, che, nonostante l’avanzo primario, l’assenzadi una bolla immobiliare, il settore bancario solido e il basso indebitamento delle famiglie, ha avuto spread peggiori di quelli della Spagna, che non presenta i nostri fattori «di tenuta», ma solo un debito pubblico più basso. 4.Non sorprende,allora,che nelle aspettative degli investitori, contino relativamente poco le misure nazionali di politica economica, le manovre correttive, che pur dando segnali forti sul miglioramento dei conti, finiscono per avere effetti depressivi, causando peggioramenti delle aspettative dei mercati e dei relativi rating . Dunque, politiche economiche virtuose, rigorose e restrittive paradossalmente finiscono per influenzare in senso negativo gli spread nel breve periodo. 5. Al contrario, ciò che ha determinato le maggiori oscillazioni e i principali picchi degli spread , in tutti i Paesi nel periodo di massima volatilità, sono stati fattori esogeni,legati all’impotenza Ue contro la crisi. Un’analisi del diagramma degli spread , confrontato con le date dei vertici europei, fino all’Eurogruppo del 20 febbraio, che finalmente ha varato un pacchetto (insufficiente) di aiuti per la Grecia, lo dimostra in maniera disarmante. 6. Quel che sembra contare di più nell’andamento degli spread , sono credibili strategie di lungo periodo, tanto dell’Ue quanto dei singoli Stati. Questo spiega la parabola dei Bonos spagnoli, che si sono calmierati dopo la più corretta strategia di lungo termine: elezioni e riforme del nuovo governo. Fin qui i fatti. Ma a questo punto una domanda sorge spontanea: quanto ci è costata l’impotenza dell’Europa nell’affrontare la crisi? In termini economici una cifra certamenteragguardevolema, edèquesta la cosa più sconvolgente, del tutto sostenibile. Confrontando, infatti, il totale titoli pubblici, di ogni categoria e durata, emessi nel 2011 (421miliardi), aunrendimentomedio ponderato del 3,61% (media che comprende la prima fase virtuosa, fino a giugno, e la seconda parte febbrile), con il totale titoli emessi nel 2010 (467 miliardi), a un rendimento medio ponderato del 2,10% (dati Mef), emerge che il servizio del debito nel 2011 è costato 15 miliardi a fronte di un costo di 10 miliardi nel 2010. Una differenza di oneri per lo Stato di 5 miliardi per un periodo medio di 6-7 anni. Focalizzando l’analisi sulle emissioni di Btp a 10 anni, quelli su cui è stata maggiormente catalizzata l’attenzione dell’opinione pubblica, i maggiori oneri per le finanze pubbliche derivanti dai titoli emessi nel 2011 rispetto agli oneri derivanti dai titoli del 2010 ammontano a 221 milioni di euro per un periodo di 10 anni. Cifra ragguardevole, ma del tutto sostenibile. Dal punto di vista della nostra politica economica, la tempesta degli spread ci è costata almeno due manovre aggiuntive. Modello: sangue, sudore e lacrime. Quella di agosto, con effetto cumulato di 64 miliardi,tesa all’anticipo del pareggio di bilancio nel 2013, e quella di dicembre, con effetto cumulato di 63 miliardi, correttiva dei conti pubblici a seguito del peggioramento della congiuntura economica. Le due manovre, che hanno innescato un processo recessivo, ci porteranno nel 2012 a una minor crescita del Pil tra il -1,5% e il -2%, di un punto peggiore rispetto alla recessione prevista per l’area euro nel 2012 (-0,3%). Per non parlare della caduta di un governo democraticamente eletto dal popolo. Ultima annotazione: in Italia la bufera è stata gestita in maniera ineccepibile dal punto di vista tecnico da parte del dipartimento del Tesoro - direzione Debito Pubblico - che ha utilizzato tutti gli strumenti a disposizione: programmazione dei quantitativi delle emissioni, riacquisti di titoli sul mercato, con cambi tesi a ritirare bond in scadenza difficili da rimborsare ed emetterne nuovi a più lunga durata. Non altrettanto si può dire della gestione politica del ministro competente, che si è lasciato travolgere dalla bolla mediatica negativa sul Paese, sull’economia, sui conti pubblici senza opporre resistenza e senza informare governo e Paese del reale andamento della crisi, certamente grave ma anche, soprattutto, certamente sostenibile. Pure in ragione del fatto che il governo Berlusconi aveva fatto manovre correttive per 265 miliardi cumulati al 2014, con pareggio di bilancio nel 2013 e avanzo primario del 5%. Sarebbe sciocco supporre che vi sia stato un concerto dei mercati per danneggiare l’Italia, e il suo legittimo governo, ma è sciocco anche sostenere che l’esecutivo in quel momento in carica non abbia fatto il dovuto. Ha mancato, invece, di prontezza e lucidità politica, tardando ad avvertire il Paese su caratteristiche e origini della crisi, non fronteggiabile con misure penitenziali interne e non riducibile se non in sede europea. Tale ritardo è una colpa, che origina da una precisa mancanza del ministro dell’Economia, che o non ha colto la natura di quel che accadeva o ha supposto di dominarla per trarne vantaggio. I risultati si sono visti. La conclusione che si può trarre dall’analisi a posteriori di quanto è accaduto nel 2011 è che gli errori e le incertezze della governance europea, e la debolezza e incertezza italiana nelle trattative in sede europea, con la conseguente percezione di confusione e instabilità trasmessa ai mercati, hanno determinato probabilmente un effetto di overshooting nelle correzioni di bilancio, sia rispetto all’obiettivo di compensazione del maggior onere per interessi sia rispetto all’obiettivo di graduale azzeramento del deficit . La necessità di correggere le percezioni negative dei mercati sulla situazione della nostra finanza pubblica hanno portato, in altri termini, a sovradimensionare l’entità delle manovre rispetto alla misura ottimale, che è quella che non compromette l’obiettivo aumentando il grado di rischio derivante dalla riduzione del tasso di crescita atteso.

L'Ici alla Chiesa ha il sapore della vendetta L'Imu fa tremare la Chiesa. Il governo: nessun eccesso. In realtà il gettito sarà basso. La questione quindi non è economica, ma nasconde un malcelato odio verso la Chie­sa

di Alessandro Sallusti - 27 febbraio 2012, 08:21 Da Il Giornale Anche la Chiesa dovrà pagare l’ex Ici sugli immobili non di culto. Pare essere questa la notizia del giorno. Di più. L’enfasi con la quale viene raccontata e discussa pone la questione in una dimensione assoluta, quasi l’esenzione fosse stato il problema e la sua introduzione sia ora la soluzione della crisi del Paese. La cosa è ridicola. Il gettito previsto per le casse dello Stato è di circa 600 milioni, meno di quanto un singolo cittadino, Silvio Berlusconi, ha pagato in una contesa giudiziaria a un altro privato, Carlo De Benedetti. La questione quindi non è economica, la tassa non sposterà che di un millimetro il carrozzone dello Stato sulla via del risanamento. Tanto che i commenti sfumano l’analisi tecnica e trasudano invece di soddisfazione politica e culturale: nelle parole e nei ragionamenti c’è un malcelato odio verso la Chiesa e i suoi presunti privilegi. Tutto questo sa di ingratitudine, e noi laici dovremmo sottrarci al coro laicista. In 150 anni, la Chiesa, nonostante sia stata inizialmente vessata e derubata dei suoi beni, non ha mai fatto mancare il suo contributo alla crescita dello Stato unitario, laico e spesso massone. Lo ha fatto a modo suo, per alcuni aspetti interessato, ma con una generosità senza eguali. Il suo compito era di salvare anime, ma già che c’era ha salvato e fatto crescere corpi, senza fare pagare tessere d’iscrizione e neppure chiedere preventivamente certificati di battesimo. In decenni nei quali lo Stato non arrivava praticamente da nessuna parte, milioni di italiani hanno imparato a leggere, scrivere, giocare a pallone, sono stati curati, aiutati e consolati senza pagare una lira. Ognuno di questi cittadini ha poi preso la sua strada, e i non pochi che hanno preferito non seguire quella dei Vangeli non hanno dovuto restituire nulla. Negare o dimenticare questa storia è da disonesti. Io non sono sicuro che le nuove povertà domestiche e quelle importate con l’immigrazione non abbiano più bisogno di una assistenza extra Stato che uno Stato giusto debba in qualche modo compensare. Ma anche se così fosse, se i tempi moderni non giustificassero più una corsia fiscale privilegiata, si introduca pure l’Ici per la Chiesa, ma senza compiacimento o senso di rivalsa. Anzi,semmai con un grazie e un po’ di imbarazzo per il conto non pagato a dovere.

LE BUGIE SULL’ISLAM Maometto non ha dato una visione oscurantista della religione. Ma ci sono suoi seguaci che manipolano il messaggio del profeta

di Marcello Foa - 28 dicembre 2005, 00:00 Il Giornale Commenta Marcello Foa Vogliono tornare alle origini dell'Islam, seguendo alla lettera i precetti indicati da Maometto. Non accettano la democrazia e la libertà, pretendono l'instaurazione dello Stato islamico e l'applicazione, rigorosa, della Sharia. Pensano che le donne siano inferiori agli uomini e che tra i doveri dei musulmani, schiavi di Allah, rientri quello di combattere gli infedeli. Sono persuasi che questa sia la Via indicata dal Profeta. Ma è davvero così? Davvero Maometto proponeva una visione oscurantista e intollerante della religione? Diversi teologi, pensatori e storici dell'Islam oggi rispondono di no e dimostrano come molte delle convinzioni musulmane più radicate traggano origine da falsi miti e da interpretazioni parziali o arbitrarie. Sono persuasi che l'essenza dei problemi dell'Islam derivino non dal messaggio di Maometto in s´, ma dal fatto che esso sia stato applicato in modo fuorviante, perseguendo interessi politici, logiche di potere e necessità sociali che nulla hanno a che vedere con la fede. Sono persuasi che, nella storia dei musulmani, la religione sia stata usata prevalentemente quale strumento di legittimazione a governare, anzich´ quale fonte di elevazione individuale, come auspicava lo stesso Maometto. Il loro è un discorso articolato, frutto di studi decennali; di seguito esaminiamo dieci delle credenze più diffuse tra gli integralisti. A «Islam significa rassegnazione e sottomissione». «Submission» era il titolo del film di Theo van Gogh, il regista olandese assassinato da un fondamentalista. Ma, come spiega uno dei più grandi arabisti europei, Sergio Noja Noseda, la parola Islam vuol dire donare se stesso alla volontà di Dio, mentre per l'espressione che spesso le viene attribuita, quella di rassegnazione fiduciosa, esiste un altro vocabolo. Musulmano non significa «sottomesso» ma «oblato», ovvero di colui che segue le regole di un ordine religioso. B «Il Corano impone la creazione di uno Stato islamico». È l'ossessione dei fondamentalisti islamici. Eppure Maometto, sebbene sia stato il capo supremo dei primi musulmani e, nell'era di Medina, abbia indicato le tre regole che regolavano la vita comunitaria (solidarietà di tutti i membri, sostegno al capo, decisioni con il consenso), non accenna mai alla creazione di uno Stato islamico. L'ex ministro dell'Istruzione tunisino Mohamed Charfi spiega che il Corano non fornisce alcuna indicazione, n´ allude alle modalità per designare i governanti n´ di controllarli e di destituirli. Anzi, nell'unico versetto che affronta indirettamente questo aspetto, Maometto distingue chiaramente l'obbedienza al Profeta da quella all'emiro, al governatore civile o militare (ovvero all'epoca ai capi tribù convertiti all'Islam). Il versetto 59 del Capitolo IV recita infatti: «Credenti! Obbedite a Dio, obbedite al profeta e a coloro tra voi che esercitano l'autorità». La sottomissione a Dio e al Profeta ha chiaramente una connotazione religiosa, mentre quella ai governi è consigliata per evitare l'anarchia. Di certo Maometto era interessato a diffondere il Messaggio religioso, non a esercitare il potere temporale. C «Fu Maometto a volere la creazione del califfato». Fino al 1924 il califfo era il leader dei credenti e, al tempo stesso, la massima autorità politica, una sorta di imperatore musulmano. Oggi il califfato non esiste più, ma nei testi scolastici continua a essere esaltato ed è rimpianto dai fondamentalisti. Tuttavia nel Corano si indicano come califfi solo due figure bibliche, Adamo e Davide. Lo stesso Maometto non si è mai presentato come califfo, non si è mai attribuito il titolo di re o emiro, n´ ha indicato che i suoi successori dovessero essere considerati tali. A dire il vero - citiamo ancora Mohammed Charfi - non ha mai indicato che ci dovessero essere degli eredi, forse perch´ riteneva che il suo potere dovesse cessare con la sua scomparsa. Il titolo di califfo venne introdotto dopo la morte del Profeta da coloro che si arrogarono il diritto di continuarne l'opera. Dapprima da Abu Bakr e poi da Omar e da Uthmar, che con il tempo ne sacralizzarono la valenza, nel senso di «colui che prende il posto» del profeta e infine di «califfo di Dio», «luce di Dio», «ombra di Dio». Le loro intenzioni non erano religiose, bensì squisitamente politiche: in un'epoca di furibonde rivalità tribali, l'affiliazione divina era necessaria per legittimare il proprio potere e reprimere ogni forma di opposizione. D «I musulmani sono obbligati a condurre la Guerra Santa (Jihad) e dunque a diffondere la fede con la forza» Dall'11 settembre la parola «Jihad» terrorizza gli occidentali e Bin Laden non perde occasione per invitare i musulmani a combattere gli infedeli ovunque nel mondo. Il teologo Hmida Ennaife, docente all'Università Zitouna di Tunisi, però, non ha dubbi al riguardo: Maometto parla di Jihad solo durante la seconda fase della sua predicazione, quella di Medina, quando era stato costretto ad abbandonare la sua città natale, la Mecca, ma la giustifica quale strumento di autodifesa e in particolari circostanze storiche. Il ricorso alla forza è lecito solo di fronte a regimi oppressivi che rifiutano la libertà di fede o quando i musulmani sono aggrediti e perseguitati. Il Corano dà alla parola Jihad anche una valenza intima, morale: la guerra santa rivolta non contro altre persone, ma contro se stessi per combattere le proprie debolezze. E «Il Corano sancisce la superiorità dell'Islam sulle altre religioni». Non c'è dubbio che nei Paesi islamici la tolleranza religiosa oggi sia perlomeno precaria. Ma, secondo il teologo Ennaifer, il Corano insiste su tre punti: responsabilizzare l'individuo e la comunità, essere all'ascolto della rivelazione e del mondo esterno, rispettare le altre religioni monoteiste. Il versetto 69 del capitolo V recita: «Coloro che credono (i musulmani), gli ebrei, i cristiani, tutti coloro che credono in Dio e al Giorno del giudizio non dovranno temere nulla e non saranno perseguitati». E lo studioso tunisino Abdelmajid Charfi spiega come più volte nel Corano il Profeta ricordi ai suoi interlocutori di «non portare alcuna novità», ma di «seguire la via dei profeti, quelli del popolo di Israele, a cominciare da Abramo». Maometto sostiene che il suo messaggio conferma e aggiorna quelli precedenti, di cui non rivendica mai l'abrogazione. F «Dio punisce chi abbandona l'Islam». Per un musulmano questa è l'accusa più grave (Salman Rushdie fu condannato a morte per apostasia), ma le intenzioni di Maometto erano assai diverse: «In religione nessuna costrizione» (versetto 256, capitolo II). Un'indicazione, come ricorda Mohammed Charfi, resa esplicita dal versetto 29 del capitolo XVIII: «La verità è quella che emana dal vostro Signore: crederà chi vorrà, la rinnegherà chi vorrà». Infine, il versetto 99 del capitolo X: «Se Dio lo avesse voluto, tutto l'universo abbraccerebbe la vera fede. Vorresti costringere gli uomini a convertirsi?». Il ruolo di Maometto è di «indicare agli uomini il cammino del Signore con saggezza e dolce esortazione», «di trasmettere il messaggio di Dio», ma «senza costringere alla fede»: «Chiunque segua la retta via lo farà a suo beneficio, chiunque se ne allontani lo farà a suo detrimento». Maometto stesso dice, rivolto ai fedeli: «Non posso rispondere della vostra salvezza». La sua predicazione non pretendeva l'obbedienza, ma si proponeva di far nascere la fede, quale scelta individuale e consapevole e per questo rinnegabile. G «Il velo è il simbolo dell'Islam ed è obbligatorio per le musulmane». Il velo, spiega la studiosa Latifa Lakhdar, non è stato introdotto da Maometto. Si trattava di una consuetudine risalente ai romani nell'era di Bisanzio, che a loro volta lo avevano copiato dall'Antica Grecia e che infine era stato adottato anche dalle tribù beduine. «Erano società misogine e gli uomini vedevano nel velo un modo per proteggere gelosamente la propria donna dagli sguardi altrui», spiega la Lakhdar. «Generalmente serviva a distinguere l'origine sociale delle donne. In epoca greco-romana lo portavano le donne facoltose per distinguersi dalle popolane; nella penisola arabica serviva a distinguere le donne sposate dalle prostitute e dalle schiave». Era un foulard da portare sul capo, sulle spalle e sul petto. In un versetto Maometto invita le donne della sua comunità a portarlo «per evitare di essere offese per strada»; dunque il velo quale segno distintivo e di protezione. In un altro, citiamo Abdelmajid Charfi, le invita «a calare il panno sul petto», per evitare di mostrare il seno; anche in questo caso è un segno di discrezione e di pudore, in linea con i costumi dell'epoca. Mai il Corano conferisce valenza religiosa al velo. H «La Shaaria è divina e immutabile, deve essere applicata con la massima severità». Innanzitutto: la Shaaria è la legge di Dio, composta dal Corano, che racchiude il messaggio divino trasmesso a Maometto dall'arcangelo Gabriele, e dalla Sunna, ovvero i detti e gli atti del Profeta trasmessi negli hadith (i racconti). È infallibile? Secondo gli ulema, i giuristi coranici, che nel corso dei secoli l'hanno interpretata, sì, proprio perch´ divina. Eppure non sempre le loro indicazioni appaiono congrue. Ad esempio, una delle pene più crudeli, la lapidazione degli adulteri, poggia su una fonte della Sunna considerata dubbia. E quando, a Kabul, i talebani invitavano, in nome di Allah e di Maometto, ad applicare la pena usando «pietre piccole per prolungare la sofferenza» del peccatore, attribuivano ad Allah e Maometto intenzioni che costoro non hanno mai manifestato. Come rileva Mohamed Charfi, il Corano codifica le pene solo per cinque reati (gli hadud): il brigantaggio, il furto, la calunnia nei confronti di una donna, l'adulterio e, infine, l'omicidio, le botte e le ferite, questi ultimi sanzionati secondo la legge del taglione. Erano pene severe? Senza dubbio, ad esempio, amputare la mano al ladro o infliggere cento frustate all'adultero. Ma l'espressione had significa limite, dunque pena massima. E rispetto alle consuetudini delle tribù saudite dell'epoca, Maometto si distingueva non per la sua brutalità, ma per la sua tolleranza. Numerosi sono i versetti del Corano in cui ricorda che «chiunque, dopo essere stato ingiusto, si penta e faccia ammenda, non debba essere più disturbato», perch´ «Dio è clemente e misericordioso». Il Profeta non sollecita l'intransigenza dogmatica, ma una valutazione basata sull'autenticità del pentimento dell'autore del reato e sul senso di equità di chi è chiamato a giudicare. Riguardo gli adulteri, ad esempio, Maometto indicava che era possibile comminare pene diverse, ad esempio anche solo 5 frustate, o, in alternativa, il pagamento di un'ammenda o l'allontanamento dalla comunità. Una gradualità negata dai fondamentalisti e trascurata dalla tradizione. I «Il vero imam deve portare la barba incolta». La figura è ormai radicata nell'immaginario collettivo, ma il Corano non impone agli uomini la barba lunga, n´ i baffi, n´ il turbante. In generale non attribuisce alcuna valenza religiosa all'abbigliamento maschile o femminile. E non menziona il burka, la tunica che copre interamente il corpo, nascondendo il volto e gli occhi della donna. Invenzione dei talebani, non certo di Dio. J «Il rispetto del Ramadan è assoluto». Il mese del digiuno, dall'aurora al tramonto, è uno dei pilastri dell'Islam. Secondo la tradizione ne sono esentati solo i bambini, i malati, le donne incinta e chi è in viaggio. Ma Maometto ricordava che «Dio vuole agevolare e non ostacolare il rispetto dei doveri», pertanto il Corano prevede che «coloro che, pur potendo osservare il digiuno, lo rompono, possano riscattarsi dando da mangiare per un giorno almeno a un povero». Anche di questa disposizione non c'è traccia nelle consuetudini musulmane. A onor del vero non è l'unica dimenticanza. Come osserva Abdelmajid Charfi, il Corano è composto da seimila versetti, ma la tradizione islamica ne considera solo seicento: gli altri 5.400 esistono solo sulla carta.

Il prete prega Allah dentro la chiesa? Tradisce la sua fede A Cantù (Como) un parroco ha distribuito salmi coranici ai fedeli per solidarietà con chi festeggiava la fine del digiuno. Ma chi legittima Maometto nega Gesù

di Magdi Cristiano Allam - 02 settembre 2011, 08:20 Il Giornale Ormai in Italia si prega Allah in chiesa per iniziativa e volontà del sacerdote che dovrebbe aver votato la propria vita per testimoniare la verità unica ed esclusiva in Gesù Cristo. È successo a Cantù, in provincia di Como, martedì scorso 30 agosto, in occasione della Festa dell'Eid al-Fitr, seconda festa più importante della religione islamica che conclude il mese di digiuno del Ramadan. Nella Basilica di San Paolo il prevosto emerito di Cantù, don Lino Cerutti, ha fatto trovare su un tavolo all'inizio della navata centrale e ha fatto distribuire dei volantini contenenti preghiere islamiche per celebrare la fine del Ramadan scritte dal filosofo Sejjed Hossein Nasr, dal mistico Rabi'a e dal poeta Hafez, in cui si tessono le lodi di Allah e si esalta l'islam come la religione eccelsa. È vero che nello stesso giorno il capo dello Stato Napolitano ha ritenuto di inviare gli auguri ai musulmani, arrivando a sostenere che il dialogo con l'islam sarebbe «indispensabile presupposto affinché la società italiana sappia interpretare le sfide del mondo contemporaneo e divenire sempre più libera, aperta e giusta». Che Il vice-sindaco di Milano Maria Grazia Guida si è recata a omaggiare gli islamici in preghiera con il velo in testa e che anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha visitato la Grande Moschea di Roma. Ma un conto è prostrarsi agli islamici in moschea, un altro conto è trasformare la chiesa in moschea. In linea di principio si è cristiani perché si crede nella verità di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto uomo, nato, morto e risorto per redimere l'umanità, il suggello della profezia e il compimento della rivelazione. Significa che se si crede in Gesù non si può in alcun modo credere né che Maometto è un profeta autentico né che l'islam è una religione veritiera. O si crede in Gesù o si crede in Maometto; o si è cristiani o si è musulmani. Ma non si può assolutamente sostenere di credere in Gesù e al tempo stesso legittimare Maometto come profeta; così come non ci si può professare cristiani e al tempo stesso legittimare l'islam come religione. Chi lo fa non è cristiano. Non si tratta di essere più o meno sincretisti. Semplicemente non si è più cristiani. E se a legittimare Maometto e l'islam è un sacerdote, ebbene commette un'eresia ed è passibile di apostasia. Perché non si può relativizzare la verità storica e sacra di Gesù: o ci credi o non ci credi. L'errore capitale in cui è incorso don Lino è di aver aderito all'ideologia del relativismo religioso che è la conseguenza della trasposizione acritica della dimensione delle persone con la dimensione della religione. L'immaginare cioè che per amare il prossimo, laddove l'amore per il prossimo è il fondamento della fede cristiana, il comandamento nuovo portatoci da Gesù, si debba sposare la religione del prossimo. Quindi per amare i musulmani come persone si debba legittimare l'islam come religione, a prescindere dai suoi contenuti, da ciò che è scritto nel Corano e da ciò che ha detto e fatto Maometto. Tutto ciò avviene in un contesto dove il relativismo religioso, a partire dal Concilio Vaticano II, sta dilagando all'interno della Chiesa; mentre dall'altra parte, intendo dalla parte dei musulmani e dell'ortodossia islamica, non solo non hanno nulla a che fare con il relativismo ma, all'opposto, condannano noi ebrei e cristiani come eretici perché avremmo deviato dalla retta via, fortunatamente ritrovata con la rivelazione divina affidata a Maometto elevando così l'islam ad autentico suggello della profezia. Siamo pertanto doppiamente ingenui e illusi: immaginiamo che relativizzando il cristianesimo per legittimare l'islam loro si renderanno più disponibili nei nostri confronti, mentre all'opposto finiamo per essere percepiti come una landa deserta che merita di essere occupata dai musulmani. Come? Con la proliferazione delle moschee. E anche qui la nostra ingenuità e vocazione al suicidio ci porta a offrirgliene noi prima ancora che le chiedano loro. Noi vorremmo veder sorgere delle grandi moschee con cupola e minareto a Milano, Bologna, Firenze, Napoli e ovunque in Italia. Loro, più furbescamente, ci dicono che preferiscono delle piccole moschee diffuse sul territorio, per potersi spartire il bottino considerando che tra loro non vanno affatto d'accordo tranne che sull'obiettivo di islamizzare l'Italia, l'Europa e il mondo libero, democratico e civile. Ci siamo trasformati in islamici più degli islamici stessi prima ancora di essere costretti a convertirci all'islam. Che cosa possono volere di più gli islamici da noi italiani ingenui, stolti, ideologicamente collusi e votati al suicidio?

Voglio leggere il Corano in Duomo e a San Pietro Un errore dare alle fiamme il testo sacro ai musulmani. Mi limiterò a citare alcuni passaggi, tutti capiranno

di Magdi Cristiano Allam - 27 febbraio 2012, 08:53 Il Giornale Con la presente chiedo ai Prefetti di Milano e di Roma, alla Curia Ambrosiana e alla Segreteria di Stato del Vaticano,l’autorizzazione a organizzare due manifestazioni pubbliche in Piazza Duomo e in Piazza San Pietro per far conoscere agli italiani la verità sul Corano e su Maometto. Considero un errore dare alle fiamme il testo considerato sacro dai musulmani e tacere sulla vita del fondatore dell’islam, così come provo orrore per le stragi che ne conseguono. Ebbene proprio perché sono consapevole che vi è un rapporto di causa ed effetto tra ciò che è prescritto nel Corano e l’esempio dato da Maometto e tra la predicazione d’odio, l’incitazione alla violenza e la perpetrazione di efferati crimini da parte dei musulmani, ho deciso che è un dovere civico e una missione morale affermare la verità. Basta con il rogo del Corano e le vignette su Maometto! Il Corano non va bruciato ma letto in pubblico in modo chiaro e senza alcun commento! Maometto nonva deriso esasperandone i tratti ma rappresentato oggettivamente così come viene descritto dai suoi biografi ufficiali! Anticipo al prefetto di Milano e alla Curia ambrosiana che in Piazza Duomo leggerò anche i seguenti versetti del Corano che ordinano ai musulmani di uccidere gli ebrei e i cristiani a meno che non si convertano e non si sottomettano all’islam: «Combattete coloro che non credono in Dio e nell’Ultimo Giorno, che non vietano ciò che Dio e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la Gente del Libro (ebrei e cristiani, nd r), che non scelgono la religione della verità, finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati. Dicono gli ebrei: “Esdra è figlio di Dio” e i cristiani dicono: “Il Messia è figlio di Dio”. Questo è ciò che esce dalle loro bocche. Ripetono le parole di coloro che prima di loro furono infedeli. Dio li distrugga! Essi sono fuorviati » (IX, 29-30). «E quando il tuo Signore ispirò agli angeli: “Invero sono con voi: rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli fra capo e collo, colpiteli sulle falangi! E ciò avvenne perché si erano separati da Dio e dal Suo Messaggero”. Dio è severo nel castigo con chi si separa da Lui e dal Suo Messaggero! Assaggiate questo! I miscredenti avranno il castigo del fuoco! O credenti, quando incontrate gli infedeli in ordine di battaglia, non volgete loro le spalle. Chi quel giorno volgerà loro le spalle- eccetto il caso di stratagemma per meglio combattere o per raggiungere un altro gruppo- incorrerà nell’ira di Dio e il suo rifugio sarà l’inferno. Quale triste rifugio! Non voi li avete uccisi. Dio li ha uccisi» (VIII, 12-17). «O credenti, non sceglietevi per alleati ebrei e cristiani, sono alleati gli uni degli altri, e chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Dio non ama il popolo degli ingiusti» (V, 51). Ugualmente anticipo al prefetto di Roma e alla segreteria di Stato del Vaticano che nella manifestazione pubblica a Piazza San Pietro leggerò anche questi passaggi tratti dalla Sira, la raccolta dei detti e dei fatti attribuiti a Maometto: «Il Profeta - le preghiere e la pace di Allah siano con Lui - dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti imusulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno:O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me- vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei» (citato da al-Bukhari e da Muslim). Dopo la battaglia del Fossato nel 627, Maometto attaccò l’ultima tribù ebraica rimasta a Medina, i Banu Quraizah. Dopo un assedio di 25 giorni, si arresero. Alla fine tra i 600 e i 700 maschi furono uccisi, mentre le donne e i bambini furono fatti schiavi. Sul fatto che fu Maometto a decapitare gli ebrei, la Sira di Ibn Ishaq narra: «Poi (i Banu Quraiza) si arresero e l’inviato li rinchiuse a Medina nel quartiere della figlia di Harith, una donna dei Banu Najjar. Poi l’Inviato uscì nel mercato di Medina e vi scavò dei fossati. Poi li mandò a prendere e li decapitò in quei fossati. (...)Erano 600 o 700 in tutto, anche se alcuni parlano di 800 o 900. Mentre venivano portati a gruppi dall’Inviato chiedevano a Kaab che cosa ne sarebbe stato di loro. Rispose: “Non lo avete capito? Non vedete che lui continua a chiamare e nessuno torna indietro? Per Dio è morte!” Questo continuò fino a che non ebbe finito con tutti loro». Attendo fiducioso la risposta del prefetto di Milano e della Curia ambrosiana, del prefetto di Roma e della segreteria di Stato del Vaticano. Assicuro loro che mi limiterò a leggere correttamente quanto è scritto nel Corano e nella Sira di Maometto. Siamo uno Stato libero dove è un diritto e un dovere degli italiani conoscere la verità. Null’altro che la verità. O non lo siamo più? Lo sapremo dalle loro risposte.

venerdì 24 febbraio 2012

giovedì 23 febbraio 2012

Stipendi manager pubblici/ Il capo della Polizia Antonio Manganelli è il più ricco: oltre 621mila euro


ECONOMIA dA affaritALIANI.IT

Giovedì, 23 febbraio 2012 - 16:54:00


Antonio Manganelli
Il ministro della Pubblica Amministrazione, Filippo Patroni Griffi, ha consegnato alle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Lavoro della Camera i dati relativi alle retribuzioni superiori ai 294.000 euro dei manager pubblici. Al primo posto dell'elenco c'e' il capo della Polizia, Antonio Manganelli, che ha guadagnato 621.253,75 euro. Dietro di lui il Ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, con562.331,86 euro e il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Franco Ionta con 543.954,42 euro. I dati sono relativi a oggi e sono stati forniti dalle amministrazioni di appartenenza senza gli eventuali cumuli. Alla quarta posizione dei manager pubblici piu' pagati c'e' il capo di Gabinetto del Ministero dell'Economia, Vincenzo Fortunato, che ha ricevuto 536.906,98 euro.
La quinta retribuzione piu' alta e' quella del Capo di Stato maggiore della difesa, generale Biagio Ambrate Abrate, con 482.019,26 euro, che precede direttore dei Monopoli di Stato Raffaele Ferrara, con 481.214,86 euro, il Capo di Stato maggiore dell'Esercito, generale Giuseppe Valotto, con 481.021,78 euro, e il Capo di Stato maggiore della Marina, Bruno Branciforte, con 481.006,65 euro. Ex aequo al nono posto Corrado Calabro', presidente dell'AgCom, e Giovanni Pitruzzella, numero uno dell'Antitrust, con 475.643,38 euro. Chiude la top ten, a pochi centesimi di distanza, il presidente dell'Autorita' dell'Energia, Pier Paolo Bortoni, che ha ricevuto 475.643 euro. Undicesimo e' il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, generale Leonardo Gallitelli, con 462.642,56 euro.
Dodicesimo Giuseppe Bernardis, Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, con 460.052,83 euro e tredicesimo il segretario generale della Difesa, Claudio de Bertolis con 471.072,44 euro. Seguono Giampiero Massolo, Segretario generale del Ministero degli Affari esteri (412.560 euro) e i componenti dell'autorita' dell'energia (Valeria Termini, Luigi Carbone, Rocco Colicchio e Alberto Biancardi) con una retribuzione di 396.379 euro. A dieci euro di distanza ci sono i membri dell'Antitrust e dell'AgCom con 396.369,44 euro, e poi il direttore generale della Consob, Antonio Rosati, con 395mila euro ("piu' la gratifica annuale") e i componenti dell'autorita' di vigilanza sulla Borsa con 322 euro.
Scorrendo in ordine sparso l'elenco dei manager della pubblica amministrazione piu' pagati si trova il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, che ha ottenuto una retribuzione di 364.196 euro, la direttrice dell'Agenzia del Territorio, Gabriella Alemanno, con 307.211 euro ("al netto del contributo di solidarieta'"), il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, con 304.000 euro, il presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, 300mila euro e il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, 216.711,67 euro.
Riguardo agli stipendi annui lordi del collegio dell'Antitrust si ricorda che sono stati gia' adeguati dal 1 gennaio e portati sotto il tetto previsto per i manager pubblici. Il presidente, Giovanni Pitruzzella e gli altri membri del collegio, Piero Barucci, Carla Rabitti Bedogni e Salvatore Rebecchini guadagnano 304.951,95 euro lordi.Anche gli stipendi annui lordi dell'Agcom sono stati gia' adeguati e portati sotto il tetto previsto per i manager pubblici. Il presidente dell'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni Corrado Calabro', il consigliere Nicola D'Angelo, Michele Lauria, Stefano Mannoni, Antonio Martusciello, Roberto Napoli e l'avvocato Sebastiano Sortino hanno uno stipendio annuo lordo di 304.951,95 euro, cosi' come il segretario generale Roberto Viola. I dati sono consultabili sul sito dell'Agcom.

«Non inseguite potere e gloria» L'appello del Papa ai 22 nuovi Cardinali



di Gian Guido Vecchi
Corriere della Sera

CITTÀ DEL VATICANO - Anche nella Chiesa, in fondo, è una tentazione vecchia di duemila anni. Poiché nulla è casuale nella liturgia, prima che Benedetto XVI si disponga a «creare» solennemente i 22 nuovi Cardinali, al Vangelo, nella Basilica di San Pietro si dà lettura in latino del capitolo 10 di Marco, con Giovanni e Giacomo che dicono a Gesù: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Tentazione umana, troppo umana. E Benedetto XVI, davanti ai nuovi porporati e a tutto il Collegio cardinalizio, commenta: «Non è facile entrare nella logica del Vangelo e lasciare quella del potere e della gloria».
È una riflessione di grande importanza, quella del Pontefice, in un momento di tensioni, fughe di documenti e veleni interni ed esterni al Vaticano che sono arrivati a «farneticare» di «complotti omicidi» contro di lui, di profezie funeste sui «12 mesi di vita», di dimissioni cui avrebbe pensato in vista del suo ottantacinquesimo compleanno, il 19 aprile, cosa smentita per tempo dalla Santa Sede («la questione non si pone») e dallo stesso calendario di impegni del Papa.
Mercoledì, meditando sulla Croce davanti ai seminaristi di Roma, Benedetto XVI aveva spiegato come Gesù inviti «al difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato». Padre Federico Lombardi ha parlato di «Vatileaks» che «tende a screditare il Vaticano e la Chiesa» per fermare la linea di «purificazione e rinnovamento» voluta dal Papa. Così ora è importante che alla fine della sua «allocuzione» Benedetto XVI alzi lo sguardo e sillabi: «Pregate anche per me, affinché possa sempre offrire al popolo di Dio la testimonianza della dottrina sicura e reggere con mite fermezza il timone della santa Chiesa».
Il Papa vuole procedere con «mite fermezza» nella sua opera di riforma. La stessa fermezza mite con la quale ricorda la «folgorante risposta» di Gesù ai due figli di Zebedeo: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo?». Il calice è quello della Passione, ricorda ai Cardinali: «Il servizio a Dio e ai fratelli, il dono di sé: questa è la logica che la fede autentica imprime e sviluppa nel nostro vissuto quotidiano e che non è invece lo stile mondano del potere e della gloria».
Cita un Padre della Chiesa, San Cirillo d'Alessandria: «I discepoli erano caduti nella debolezza umana e stavano discutendo l'un l'altro su chi fosse il capo e superiore agli altri. Quanto è accaduto ai Santi Apostoli può rivelarsi per noi un incentivo all'umiltà».
L'anello. E la berretta rosso porpora. Gesù stesso «si presenta come servo, offrendosi quale modello». I Cardinali si inginocchiano uno ad uno davanti al Papa ricevendo i segni di una «dignità cardinalizia» che ha il colore del sangue: «Ai nuovi cardinali è affidato il servizio dell'amore: amore per Dio, amore per la sua Chiesa, amore per i fratelli con una dedizione assoluta e incondizionata: fino all'effusione del sangue, se necessario».
Ed elenca otto caratteristiche per «servire» la Chiesa: «Amore, vigore, limpidezza, sapienza, energia, fortezza, fedeltà e coraggio».

LA LOTTA DI POTERE INTERNA


I sotterranei del Vaticano

di Massimo Franco
Corriere della Sera

Nei giorni che dovrebbero dimostrare il primato degli italiani fra i Cardinali, è difficile sfuggire alla sensazione che la loro consistenza numerica ne esalti, per paradosso, la debolezza.
Lo sforzo di mostrare una Chiesa cattolica unita e di esorcizzare i conflitti e i veleni degli ultimi mesi è meritorio. E il tentativo di archiviare lo scontro sordo fra Segreteria di Stato e Cei è stato esplicito, nelle parole con le quali il Cardinale Tarcisio Bertone ha esaltato la «sinergia» con i Vescovi: la sua è una disdetta delle ambizioni di guida espresse nel 2007, e motivo di tanti malintesi.
Eppure perfino quel gesto è parso tardivo, arrivando nel bel mezzo di una guerra dei dossier combattuta nei recessi più opachi del Vaticano. Insomma, se c'è una tregua in incubazione, più che l'inizio di una nuova fase sembra la coda di una faida interna sfibrante e senza vincitori.
Dalle parole anche drammatiche pronunciate ieri al Concistoro nel quale ha nominato ventidue nuovi Cardinali, si intuisce che Benedetto XVI ha una lucida consapevolezza di quanto si agita nelle viscere della sua Chiesa. E si intravede la volontà di correggere una deriva sfuggita al controllo di tutti. Ma il tormentato limbo degli ultimi anni ha lasciato un segno profondo.
È vero, il Vaticano ha i suoi tempi.
Una saggezza ultramillenaria lo ha abituato ad agire quando i clamori si sono attenuati, i riflettori spostati, gli animi placati. Ma la domanda è se oggi quel metodo non rischi di diventare l'alibi per velare un difetto di governo. Anche perché nessuno è in grado di scommettere su una fine ravvicinata delle manovre di discredito in atto. In qualche caso il clamore che provocano sarà anche frutto di un'ostilità preconcetta contro la Chiesa; ma è figlio soprattutto di un pregiudizio positivo.
L'eco viene amplificata dall'incredulità di un'Italia che chiede punti di riferimento e si sorprende perché le gerarchie cattoliche si mostrano divise e in lotta fra loro; e quasi imitano alcune tendenze della nomenclatura politica, che gli italiani hanno messo in mora.
I Cardinali venuti da tutto il mondo chiedono conto delle logiche di Curia, mentre non si fermano le voci sul futuro di Bertone: a conferma che il Segretario di Stato è diventato il simbolo e il parafulmine di quanto non funziona nei sacri palazzi. È anche possibile, come insistono a dire i suoi avversari, che sia indotto a fare un passo indietro prima della fine del 2012.
Rimane da capire se le sue eventuali dimissioni basterebbero a fermare la macchina del fango in azione dentro il Vaticano. All'ombra degli intrighi curiali, c'è chi lavora per il prossimo Conclave anche in questi giorni di Concistoro. E forse ha già raggiunto lo scopo di far ritenere che difficilmente uno dei Cardinali italiani potrà unificare la Chiesa.
Il comportamento di alcuni Cardinali allunga ingiustamente un'ombra su tutti.
La conseguenza potrebbe essere quella di alimentare negli altri episcopati un sentimento «anti italiano», riflesso di quello «antiromano», tanto comprensibile quanto gravido di incognite

L'Onu (e il Partito comunista cinese) hanno tradito le donne

 20/02/2012 12:40
CINA - ONU da asianews

di Wei Jingsheng
La questione femminile in Cina non è quella raccontata dalla propaganda: la liberazione maoista non c'è mai stato e le donne sono le prime vittime della repressione cinese. Ma davanti agli aborti forzati e alle sterilizzazioni, neanche le Nazioni Unite trovano il tempo o la voglia di condannare Pechino. L'analisi del grande dissidente.


Washington (AsiaNews) - Lo scorso novembre ho partecipato a una conferenza presso l'Unione europea, dove ho incontrato molti vecchi amici. Sono stato anche invitato dal Parlamento europeo a partecipare a un programma moderato dal direttore di Europarl TV. Il tema originario di questo programma era discutere sul ruolo delle donne nelle transizioni democratiche, con la domanda se possano o meno essere leader oppure quale tipo di ruolo possano svolgere. Le risposte a questa domanda sono divenute una denuncia di discriminazione nei confronti delle donne e di violenza contro di loro.
In origine non avevo nulla da dire. Ovviamente, le donne possono essere leader. Questo è confermato dalla storia, molte donne sono divenute ottime leader. Se fosse stata una cerimonia in onore delle donne, avrei potuto dire qualcosa. Ma esporre soltanto questa verità non mi sembrava poi così interessante. Quindi sono rimasto seduto a guardare le luci del palco, pronto a rimanere in silenzio per l'intera trasmissione.
Ma quando mi sono accorto dell'espressione trionfante del vice direttore esecutivo del Programma Onu per le donne, che sembrava l'eroina della festa, mi sono arrabbiato. Quando sono stato invitato a intervenire dall'entusiasta ospite, ho cambiato la mia decisione originaria di dire soltanto parole favorevoli come le altre pronunciate e ho deciso di chiedere giustizia per le donne cinesi.
Ho iniziato l'intervento dicendo che, prima di tutto, non potevo parlare a nome delle donne cinesi poiché sono soltanto un osservatore della loro situazione. Subito dopo, ho sottolineato che molti politici e accademici occidentali hanno una visione sbagliata riguardo molte questioni inerenti alla Cina. Per esempio, molti studiosi occidentali che non sostengono il Partito comunista pensano che - nonostante Mao Zedong abbia fatto molto male al popolo cinese - la sua scelta di liberare le donne sia stata una buona cosa.
E' ovvio che questa è una incomprensione, dovuta alla propaganda del Partito comunista. Non solo le donne cinesi non sono state liberate, ma sono state gettate in una nuova situazione di oppressione e violenze. Le donne sono oppresse e violate tanto quanto gli uomini, senza la cosiddetta liberazione. Anzi, le donne soffrono di più degli uomini.
Ad esempio, le vittime della selvaggia politica di pianificazione familiare introdotta dal regime comunista cinese sono state negli anni per lo più le donne. Il Partito comunista ha rapito molte donne giovani e di mezza età per le strade, le ha caricate sui camion e le ha mandate in ospedale per costringerle alla sterilizzazione: sono state castrate come animali. Queste pesanti violazioni ai diritti umani, questi atti barbarici che portano l'uomo a essere trattato come un bestia sono state appena condannate dalle Nazioni Unite e continuano, fino a oggi, a essere messe in pratica.
A quel punto mi sono girato e ho chiesto a questo vice direttore esecutivo del Programma Onu per le donne: "Qual è il commento delle vostre Nazioni Unite su questa questione? Perché il suo Programma o il consiglio per i diritti umani non intervengono e non criticano questo fatto?". Centinaia di ospiti presenti nello studio hanno applaudito con calore e hanno chiesto alla signora di rispondere. Il moderatore le ha passato subito il microfono.
Questa dirigente ha spiegato con molto imbarazzo che la Cina è una grande nazione, che ha grande influenza nelle Nazioni Unite, che queste non possono intervenire negli affari interni degli Stati membri, ecc ecc... Un discorso fatto con il linguaggio diplomatico. In maniera sorprendente, il pubblico non le ha riservato un applauso. Il moderatore le è andato in soccorso, spiegando che il Programma e persino le Nazioni Unite sono organizzazioni che non hanno autorità, che lavorano più che altro per dare consigli e incoraggiamento.
Il vice direttore esecutivo ci ha pensato sopra ancora un poco e, dato che non era soddisfatta, ha trovato il modo per spiegare ancora una volta: "Facciamo molte indagini sui problemi cinesi, e scriviamo molti rapporti per criticare la situazione, ma non riceviamo risposte soddisfacenti dal governo cinese". Dopo il dibattito, molti dei presenti sono venuti a stringermi la mano per esprimere il proprio incoraggiamento. Anche il presidente del Parlamento europeo e il suo vice sono venuti da me e hanno stretto con calore la mia mando, dicendomi: "Hai parlato bene, dobbiamo far conoscere al popolo la verità".
In effetti, mi sono molto dispiaciuto per il tempo limitato a disposizione, che non mi ha permesso di dire a tutti come stanno realmente le cose. Al ricevimento subito dopo il programma, molte persone sono venute per sapere altre cose. Le donne cinesi non soltanto soffrono più miseria rispetto agli uomini, ma la selvaggia politica per la pianificazione familiare ha portato la Cina a dover affrontare problemi sociali a lungo termine.
Il significativo calo della natalità in Cina, che è iniziato negli anni Settanta, da una parte ha creato una penuria di lavoratori e dall'altra il tasso di anziani ha iniziato a sorpassare quello di molte nazioni sviluppate. Si può dire con più semplicità che la popolazione in grado di lavorare è diminuita in maniera drastica, mentre è cresciuta con rapidità quella fascia di popolazione che ha bisogno di sostegno. Alle attuali circostanze, una giovane coppia deve prendersi cura di 1 bambino e 12 anziani. Gli si chiede troppo per affrontare tutta questa miseria, e si scatenano i problemi sociali.
Negli anni Settanta, la politica ufficiale del Partito comunista è cambiata all'improvviso dal sostegno alle nascite alla selvaggia politica di pianificazione familiare. Il Partito cercava una scusa per il suo fallimento economico. Tuttavia, la popolazione in eccesso era davvero la ragione del fallimento economico. Non soltanto non esistono prove di questo nelle nazioni straniere, ma la crescita economica della Cina stessa negli ultimi 30 anni non ha niente a che vedere con la politica di pianificazione familiare. I popoli di diverse nazioni sviluppate sono vicini a un tasso di crescita negativo (o ci sono già), ma le loro economie non si fermano a causa di questo fattore. Dire che la povertà nasce da una rapida crescita della popolazione è un sofismo puro e illogico.
Il ruolo della popolazione nello sviluppo economico è invece un fattore positivo. La popolazione rappresenta lavoro e consumo, che sono le basi fondamentali dell'attività economica. Certo, una rapida o lenta crescita esponenziale della popolazione può portare a problemi per lo sviluppo economico. Ma la popolazione non è l'unica ragione alla base dello sviluppo o del declino economico. Oltre a portare delle bustarelle nelle tasche di alcuni funzionari corrotti, la politica di pianificazione familiare in Cina non ha una relazione diretta con lo sviluppo economico; invece, produce problemi sociali molto difficili.
Se la Cina vuole avere uno sviluppo sostenibile abbiamo bisogno non soltanto di un sistema politico democratico, ma anche di una politica sociale corretta. Dobbiamo escludere alcuni miti politici creati dal Partito comunista, incluso quello che dive che c'è più prosperità se c'è meno popolazione. Dobbiamo mettere in atto una politica di crescita bilanciata di popolazione ed economia.
Da un punto di vista umanitario, dobbiamo come prima cosa abolire la barbarica politica di pianificazione familiare del Partito comunista cinese. Di questo argomento non si deve neanche discutere. Il passo successivo è aggiustare il livello di crescita della popolazione secondo le condizioni attuali. Secondo le prove fornite da molte nazioni, mentre cresce il livello culturale ed economico il tasso di natalità affronta un trend negativo ma lento. Invece, se il tasso di crescita della popolazione cade troppo velocemente, creerà un problema nell'ambito del processo di sviluppo economico.
La crescita della popolazione e il progresso tecnologico sono le due forze più importanti per arrivare allo sviluppo economico. Come coordinare il rapporto fra crescita della popolazione e progresso è una questione importante per lo sviluppo sostenibile dell'economia. Troverò il modo di discutere di questa complessa questione in futuro.


Faisalabad: estremisti islamici attaccano una comunità cristiana, feriti due fedeli

23/02/2012 09:09
PAKISTAN da asianews

Vittima dell’assalto la Grace Ministry Church, nel mirino dei fondamentalisti per presunte attività di proselitismo. A denunciare la comunità, una famiglia musulmana che vive nella zona. Una persona è stata raggiunta da proiettili e rischia l’amputazione del braccio; un secondo scagliato dal tetto dell’edificio. 


Faisalabad (AsiaNews/Agenzie) - Una decina di musulmani armati ha assaltato la Grace Ministry Church a Faisalabad, ferendo in modo grave due cristiani. Sajid Masih è stato colpito da alcuni proiettili e versa in condizioni critiche in ospedale; l'uomo rischia l'amputazione del braccio. Un altro fedele della comunità protestante, Boota Masih, è stato spinto dal tetto - un'altezza di circa sei metri - dopo essere stato colpito più volte con un calcio del fucile. Alla base del raid estremista vi sarebbe l'accusa rivolta alla locale chiesa di evangelizzare musulmani nel tentativo di convertirli al cristianesimo. Più volte in passato la comunità è stata oggetto di assalti e di minacce di morte al pastore e alla sua famiglia.
Fonti del Pakistan Christian Post riferiscono che Sajid (nella foto) e Boota sono stati trasportati in ospedale e sottoposti a un delicato intervento chirurgico, durato oltre quattro ore. I medici hanno estratto una pallottola dal braccio di Sajid, ma le sue condizioni restano gravi e i sanitari potrebbero decidere per l'amputazione del braccio che è a rischio cancrena. Il proiettile ha trapassato l'arto e si è conficcato in una costola.
L'attacco alla Grace Ministry Church è avvenuto ieri e la comunità cristiana è tuttora sotto shock. Intanto le forze di polizia, invece di perseguire i responsabili della violenza, hanno aperto un fascicolo di inchiesta contro il reverendo Altaf Khan - pastore della comunità - e altri 20 fedeli. Gli agenti hanno già arrestato l'autista Pervaiz Masih, un altro fedele cristiano chiamato Nazish Nadeem, insieme a due guardie responsabili della sicurezza, Rafiq Masih e Shahzad.
La chiesa protestante è stata fondata nel 1987 e negli ultimi tempi ha subito forti pressioni e attacchi, per presunti casi di proselitismo. Negli ultimi due mesi, racconta il rev. Khan, "io e la mia famiglia abbiamo ricevuto minacce di morte da estremisti e terroristi non meglio indentificati". A lanciare l'accusa di proselitismo sarebbe stata l'unica famiglia musulmana, che abita nella via in cui sorge la Grace Ministry Church di Faisalabad. "Alcuni gruppi cristiani e musulmani - conclude il rev. Khan - gelosi del nostro ministero hanno finanziato i gruppi terroristi e sostenuto i loro attacchi".

La Great Wall cinese inizia a produrre auto in Europa

23/02/2012 11:24
CINA - UE da asianews

L'impianto varato in Bulgaria, produrrà auto sportive a circa 8mila e 12mila euro. A determinare la scelta è il basso costo del lavoro e la facilità ad entrare nel mercato europeo senza barriere doganali.


Sofia (AsiaNews/Agenzie) - Da due giorni, la Great Wall Motors è divenuta la prima compagnia automobilistica cinese a produrre auto per il mercato europeo.
Il nuovo impianto di 500mila metri quadri si trova nel villaggio di Bahovitsa in Bulgaria, vale 80 milioni di euro ed è proprietà del gruppo cinese e della bulgara Litex. Secondo la signora Wang Fengying, amministratore delegato della parte cinese, l'investimento è parte di una "strategia per entrare nel mercato europeo". In effetti, produrre in Bulgaria delle auto cinesi permette uno sfruttamento del lavoro a basso costo del Paese, ma anche la distribuzione senza tasse dei veicoli in tutto il mercato dell'Unione, essendo la Bulgaria parte della Ue.
La signora Wang ha precisato che l'impianto prevede per ora di produrre 2mila auto all'anno, ma entro il 2014 ne produrrà fino a 50mila. Per i primi tempi le vendite saranno effettuate in Bulgaria e nei Paesi vicini: Macedonia, Albania, Montenegro e Serbia, ma in seguito esse saranno estese a tutta l'Europa. Il personale dell'azienda crescerà dagli attuali 120 operai a 2mila nei prossimi anni.
I test per la produzione di due vetture, la Voleex C10 e la Steed 5 pick-up truck, sono avvenuti già nel novembre scorso e verranno vendute a prezzi stracciati per il mercato europeo: a 8.200 e a 12.800 euro.
La Bulgaria e altri Paesi dell'Est europeo stanno diventando un paradiso per gli investitori cinesi, sia per il basso costo della manodopera, sia per la facilità di superare le barriere doganali.
Diversi analisti mettono in luce il fatto che fino a poco tempo fa erano gli europei, i giapponesi, i coreani, gli americani a investire in Cina per produrre auto per il mercato cinese. Ora la Cina sta facendo la stessa operazione, ma al contrario, per espandersi nei mercati occidentali.
La Great Wall Motors è la più grande produttrice di vetture sportive in Cina ed ha impianti di produzione in una diecina di Paesi, fra cui Russia, Indonesia, Egitto, Ucraina.

Lahore, insegnante cristiana accusata di blasfemia

23/02/2012 12:31
PAKISTAN da asianews

di Jibran Khan
Una folla ha fatto irruzione nell’istituto in cui lavora Saira Khokhar e ha cercato di sequestrarla, incolpandola di aver bruciato una copia del Corano. Ancora oscuri i dettagli della vicenda. La polizia ha preso in custodia la donna, ma al momento non vi sono incriminazioni ufficiali. Paul Bhatti e attivisti cristiani a difesa della donna. 


Lahore (AsiaNews) - Dopo Asia Bibi, un'altra donna cristiana pakistana è finita nel mirino dei fondamentalisti islamici per un presunto caso di blasfemia. Saira Khokhar, insegnante alla City Foundation School di Lahore, è stata accusata di aver bruciato una copia del Corano. I dettagli della vicenda sono ancora poco chiari; la polizia ha fermato la donna e avviato alcune indagini informali anche se, al momento, non vi è stata ancora l'apertura di un fascicolo ufficiale di inchiesta (il First Information Report, Fir). Intanto attivisti e organizzazioni cristiane, insieme al Consigliere speciale del Primo Ministro per le Minoranze Paul Bhatti seguono con attenzione gli sviluppi e si adoperano per garantire l'incolumità dell'insegante e la tutela dei suoi diritti.
Fonti locali raccontano ad AsiaNews che questa mattina alle ore 9 un gruppo di abitanti di un villaggio poco distante hanno fatto irruzione nell'istituto - retto dalla ong cristiana City Foundation - e accusato Saira Khokhar di aver bruciato il libro sacro dell'islam. Gli assalitori hanno anche cercato di sequestrare la donna, ma l'intervento della polizia ha fermato gli aggressori.
Il funzionario capo della polizia ha preso in custodia l'insegnante cristiana e sta valutando l'ipotesi di aprire un fascicolo ufficiale di inchiesta (Fir) sulla vicenda. Sul luogo sono accorsi anche rappresentanti di associazioni per i diritti umani, la Masihi Foundation, la All Pakistan Minorities Alliance (Apma), Life for All e Paul Bhatti, fratello del ministro cattolico Shahbaz massacrato il 2 marzo scorso dagli estremisti per la sua lotta contro la "legge nera". Gli attivisti cristiani intendono seguire con attenzione gli eventi, garantire la salute di Saira e bloccare un'eventuale denuncia nei suoi confronti.
L'obiettivo è impedire che la vicenda di Saira Khokhar possa seguire gli stessi passi di Asia Bibi, la 45enne cristiana e madre di cinque figli, condannata a morte - ingiustamente - per blasfemia, con l'accusa di aver bruciato una copia del Corano. Al momento è detenuta in un carcere del Punjab, in attesa del processo di appello la cui apertura è stata più volte rimandata.

Tutto l'Afghanistan protesta contro il rogo del Corano; otto morti e decine di feriti

» 23/02/2012 13:37
AFGHANISTAN da asianews

Fra le vittime anche due soldati Nato. Le proteste vanno avanti da 48 ore, nonostante gli appelli del presidente Karzai. Fonti di AsiaNews avvertono su una possibile strumentalizzazione da parte talebana. Secondo il responsabile della missione Nato il libri sono stati bruciati per sbaglio. A Kabul tutto il personale diplomatico occidentale è barricato nelle ambasciate per paura di violenze e rappresaglie.


Kabul (AsiaNews) -  E' di otto un morti e decine di feriti il bilancio delle proteste anti-americane esplose ieri dopo il rogo di alcune copie del Corano nella base militare Nato di Bagram (60 km a nordo-vest di Kabul).  Gli scontri più violenti si sono verificati nelle province di Khogyani e Nagarhar (nord-est del Paese), dove alcuni uomini in uniformi militari hanno sparato a due soldati Nato. Nella provincia meridionale di Uruzgan, due persone sono morte durante uno scontro a fuoco con militari afghani. Incidenti  fra manifestanti e forze di sicurezza si sono verificati anche a Kabul.. Nonostante gli appelli alla calma di Ahmid Karzai, presidente afghano, i talebani hanno esortato tutto il popolo a sparare sui militari e a distruggere le loro basi.  Fonti di AsiaNews sottolineano che la situazione è molto tesa, nella capitale tutto il personale diplomatico occidentale è barricato nelle ambasciate per paura di violenze e rappresaglie.
Il rogo del Corano è uno degli atti considerati più offensivi dalla religione islamica e secondo la sharia (legge islamica) chi commette questo atto sacrilego merita la morte. Tuttavia la Nato ha fatto sapere che il gesto non è stato volontario. Il gen. Cartes Jacobson, portavoce dell'Isaf ha spiegato che le copie del libro facevano parte di uno stock di oggetti  da smaltire e sono state bruciate per sbaglio. Secondo i sodati della base il caso è esploso dopo che due inservienti afghani  hanno riconosciuto nella cenere dei frammenti di pagine del Corano e comunicato il fatto alle autorità religiose locali, che hanno subito diffuso la notizia, scatenando l'ondata di proteste.    
Le fonti di AsiaNews spiegano che "le manifestazioni contro un tale atto sono normali in un Paese islamico. L'ira della popolazione è una pura reazione istintiva, ma gli scontri più violenti sono stati innescati da frange estremiste, che tentano di strumentalizzare il fatto".  "E' sbagliato dire che il popolo sta con i talebani - sottolineano - gli afghani detestano da sempre la presenza sul loro territorio degli stranieri armati, siano essi inglesi, russi o americani. Tuttavia nessuno vuole ritornare al regime del mullah Omar, in cui si rischiava la morte per una pettinatura sbagliata o per una barba mal fatta. Il popolo ha cercato di dimenticare quegli anni terribili e ora desidera solo pace e rispetto delle proprie tradizioni".
Secondo le fonti, le forze Nato  devono cercare di prendere il controllo della situazione e avere maggiore rispetto e cura del luogo che li ospita. Ciò per evitare che i talebani trasformino questo stupido gesto in una arma da utilizzare come moneta nei  prossimi incontri per i dialoghi di pace con rappresentanti  degli Usa e del governo afghano. "Riconsegnare il Paese in mano ai talebani senza alcuna garanzia reale - avvertono - renderebbe inutili questi 10 anni di guerra  e soprattutto il sacrificio di migliaia di vittime civili innocenti". (S.C.)