di Vittorio Messori
Corriere della Sera, 13.2.2012
Di questi tempi, seguire certe non
edificanti cronache vaticane può essere gustoso o rattristante, a seconda degli
umori anticlericali o clericali. In realtà, non dovrebbe scomporsi più di tanto
il cattolico che non solo conosca la storia della sua Chiesa ma che non sia
dimentico degli avvertimenti del Vangelo. Questa Chiesa, cioè, è un campo dove
buon grano e velenosa zizzania cresceranno sempre insieme; è una rete gettata a
mare e nella quale convivranno sempre pesci buoni e cattivi. Parola di Gesù
stesso, che esorta a non scandalizzarsi per questo e a non tentare neppure di
dividere il sano dal guasto, riservando a sé questo compito nel giorno del
Grande Giudizio.
Esempio primo di questa situazione
è ovviamente il centro e il motore della «macchina» ecclesiale: la Curia vaticana, cioè,
l'amministrazione centrale di quella che la Tradizione chiama «la Chiesa militante». Beh,
quanto a questa, non fu un eretico o un mangiapreti, bensì una Santa che Paolo
VI volle proclamare «dottore della
Chiesa», la compatrona d'Italia, Caterina da Siena, a constatare: «La corte del Padre
Santo Nostro sembrami talora un nido d'angeli, tal altra un covo di
vipere». Bene e male, dunque, uniti nella stessa realtà, com'è di
ogni cosa umana: e la
Chiesa è anche una istituzione umana, è un involucro storico
(con i limiti che ne derivano) per contenere un Mistero
metastorico.
Ma a una valutazione morale faremo
un cenno più sotto. C'è, prima, un aspetto «organizzativo» da considerare. Va
ricordato, infatti, che dal Vaticano odierno non giungono solo echi di «scandali» per affari, sesso, potere. È
la macchina stessa dell'amministrazione che da anni ormai sembra incepparsi con
inquietante frequenza; sono gli equivoci, le distrazioni, le gaffe diplomatiche,
persino gli errori -magari in documenti solenni- in quel latino che è ancora la
sua lingua ufficiale, ma che è conosciuto sempre meno e sempre peggio.
D'accordo, la Curia , al pari della Chiesa
stessa, semper reformanda est. Ma qui non sembra possibile una «riorganizzazione aziendale», perché
sembrano mancare le forze fresche e di qualità. Gli infiniti uffici vaticani
sono retti, sin dai tempi della Controriforma, da personale ecclesiastico che
giunge da tutte le diocesi e da tutti gli ordini religiosi del mondo. Ma è un
mondo, questo nostro, dove la maggioranza delle diocesi e delle congregazioni ha
chiuso seminari e studentati per mancanza di frequentatori e il loro problema
non è certo quello di inviare a Roma, al servizio della Chiesa universale, i
giovani più promettenti.
Questi giovani non ci sono e, se
qualcuno c'è, è difeso gelosamente da Vescovi e dai superiori generali. Eppure,
dopo quel Vaticano II che avrebbe dovuto snellire la struttura ecclesiale,
l'Annuario pontificio ha quasi triplicato le sue pagine, l'espansione
burocratica non ha avuto sosta. Aumentano funzioni, posti, responsabilità,
mentre vengono meno, anno dopo anno, le risorse umane. E i pochi rincalzi
non sembrano in grado di portare quella schiacciante responsabilità che è
gestire in terra nientemeno che la volontà del Cielo.
Dunque, il realismo cattolico
sembra imporre un drastico ridimensionamento della struttura di una Catholica
che, di massa quale era, sta diventando o è già divenuta comunità di minoranza.
Voler mantenere l'imponente apparato barocco quando le forze vengono a mancare
(e le poche che ancora ci sono talvolta non sono adeguate) porta inevitabilmente
agli sbandamenti e agli errori che si constatano nella gestione ecclesiale.
Prendere, dunque, sul serio chi
propone di ritornare al primo millennio, coll'affidare all'Unesco, come siti
artistici e turistici, i palazzi sul colle Vaticano e tornare alla «vera» cattedrale del Vescovo di Roma,
quella di San Giovanni in Laterano, con una struttura istituzionale al minimo?
Non è il caso di rifugiarsi in simili estremi, ma il problema esiste e dovrà
essere affrontato, pur lontani da ideologie «sessantottine», di demagogia
pauperista.
Ma, dicevamo, sembra esserci anche
un cedimento morale che non è solo sessuale (questione pedofili, ma non solo,
docet) ma è anche il ritorno, quasi come ai
tempi rinascimentali, di palazzi vaticani ridotti a nodi di intrighi e di lotte
per carriere, poteri, denaro, interessi ideologici e politici. Ebbene, qui, non
c'è riforma che tenga, qui non c'è rimedio solo umano.
Qui, ogni tecnica di
riorganizzazione aziendale è ridicolmente impotente e deve aprirsi allo «scandalo» della preghiera. Parola di
Papa Benedetto XVI ma, per decenni, parola anche del Cardinal Joseph Ratzinger.
Se
la Chiesa è in
crisi, ha sempre ripetuto, è perché è in crisi la fede degli uomini di Chiesa.
Gerarchia non esclusa. Giunse a dirmi, una volta: «Al punto in cui siamo, lo confesso: la
fede, quella piena, quella che non esita, mi sembra essersi fatta così rara che,
incontrandola, mi stupisce di più che l'incredulità». Per questo è tornato
alle radici di tutto, con i suoi tre volumi sul Gesù della storia, per questo ha
voluto un organo apposito per la nuova evangelizzazione, per questo ha
proclamato questo 2012 «anno della fede».
L'intendance suivra, diceva
Napoleone: prima la conquista, poi i funzionari dell'amministrazione.
La Chiesa , Papa
Benedetto ne è certo, ha da fare essa pure una conquista, anzi una riconquista:
quella della
fede nella storicità dei Vangeli, nel Dio che si è incarnato in una donna, in un
Gesù che risorgendo ha mostrato di essere il Cristo.
Ebbene, lo sfaldamento, per
l'istituzione, sarebbe sicuro se chi è ancora «al lavoro nella vigna del Signore»
(così ama dire il Papa) perdesse la prospettiva di impegnarsi non per un premio
umano bensì divino. Se la fede vacilla o si spegne, se non è più la
ragione quotidiana di vita, la pigrizia sorniona del burocrate è in agguato, il
vecchio monsignore come il giovane religioso sono pronti a trasformarsi in
funzionari da ministero clericale e, come tali, soggetti a ogni
tentazione.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.