lunedì 18 giugno 2012

Rivoluzione araba: contro il rischio del fallimento, modernizzare l'islam

18/06/2012 14:24
TUNISIA - ISLAM - da asianews

di Bernardo Cervellera
Alla prima sessione dell'incontro di Oasis a Tunisi, è di scena la transizione del Paese, da poco libero dalla dittatura. Vi sono tendenze salafiti che vogliono imporre la sharia, ma vi sono anche contributi di partiti di sinistra e atei che - avendo partecipato alla rivoluzione - vogliono garanzie di libertà per tutti. È urgente che l'islam accolga la libertà di religione e di coscienza, per la salvaguardia anche di chi non crede. L'intervento del card. Scola. La rivoluzione tunisina non è debitrice all'occidente.


Tunisi (AsiaNews) - La rivoluzione dei gelsomini, che ha avuto in Tunisia la sua prima scintilla, rischia di "fallire". Il passo risolutivo potrebbe essere la "modernizzazione dell'islam" e "l'islamizzazione della rivoluzione": in altre parole, il futuro delle rivoluzioni arabe dipende dallo spazio che si vuole dare alla dimensione islamica, e se questa lascerà spazio alle altre minoranze religiose e perfino a chi è ateo.
Questi toni drammatici hanno caratterizzato stamane la prima sessione dell'incontro del comitato scientifico di Oasis, che quest'anno si tiene proprio a Tunisi, sul tema: "La religione in una società in transizione. La Tunisia interpella l'Occidente".
La parola "transizione" è la più adeguata per definire quanto sta succedendo in questo Paese dove, dopo la caduta del dittatore Ben Ali e le elezioni, che hanno visto la vittoria dei musulmani integristi di Ennahda e dei salafiti, si cerca ogni giorno di trovare una via comune alla libertà.
È stato il prof. Yadh Ben Achour a lanciare il grido d'allarme: "Se la Tunisia non affronta la sfida della modernità, c'è il rischio che la rivoluzione fallisca", facendo ricadere il Paese in una nuova dittatura, forse non più personale, ma ideologica e religiosa.
Ben Achour, presidente dell'Alta istanza per la realizzazione degli obbiettivi della rivoluzione, ha spiegato che nella coalizione di governo si combattono due tendenze: quella islamica radicale, che vorrebbe l'introduzione della sharia, e quella più aperta e più moderna. Nei giorni scorsi lo Stato è intervenuto a fermare la predicazione di alcuni imam radicali che volevano introdurre nei tribunali le pene islamiche (taglio della gamba, del piede, ecc...) per i delitti comuni. Allo stesso tempo, il governo non è intervenuto con forza a difendere una mostra di pitture ad opera di artisti autodefinitisi "atei", lasciando che gruppi di salafiti la attaccassero e ne bruciassero alcune, giudicate "blasfeme".
A fare da correttivo alle tendenze radicali, vi è in Tunisia una società civile molto cosciente e soprattutto i gruppi dell'opposizione di sinistra e i sindacati che, insieme con il partito Ennahda hanno fatto la rivoluzione e la resistenza verso il dittatore Ben Ali. Ben Achour ha ricordato uno sciopero della fame nel 2005, lanciato insieme, che ha portato Ennahda e la sinistra a stilare alcune dichiarazioni comuni sullo Stato; sui diritti delle donne; sulla cittadinanza. Questo ha permesso a Ennahda di virare  "verso la democrazia" e ai partiti di sinistra di accogliere le istanze dell'islam.
Questa ricchezza della società civile spiega come mai nella nuova costituzione si vuole affermare che l'islam è la religione di Stato", ma non si vuole accettare (lo ha escluso lo stesso Rachid Gannouchi, capo di Ennahda) che la sharia sia la "fonte del diritto", come invece avviene in quasi tutti i Paesi del Medio oriente.
Secondo la prof.ssa Malika Zeghal, tunisina, insegnante ad Harvard, si potrà trovare una sintesi che permetta la convivenza nel Paese. Tale ottimismo pesca nella storia del Paese, che già ai tempi di Habib Bourghiba, primo presidente della Tunisia, ci si è riferiti all'islam, ma si lasciato molto spazio alle libertà personali, garantiti da un codice di statuto personale che, ad esempio, garantiva uguali diritti a uomini e donne. La Zeghal attribuisce questa possibilità di sintesi a un "compromesso pragmatico" che nell'ora attuale diminuisce le tensioni. Ma essa sottolinea il bisogno di fondamenti più profondi.
Ben Achour ha messo in luce alcuni punti necessari e qualificanti: che l'islam difenda la libertà di religione e soprattutto la libertà di coscienza, ossia la possibilità che un cittadino possa anche non scegliere alcuna religione (ateismo) e cambiare religione. Senza di questo vi è il rischio di scivolare verso uno Stato teocratico, che decurta le libertà della persona e distrugge ed emargina anche la cultura tunisina stessa, che è ricca di poeti e filosofi, spesso critici di un islam ridotto a codice di leggi.
Gli interventi della mattina sono stati preceduti dal saluto e dall'intervento (in video) del card. Angelo Scola, presidente della Fondazione Oasis, impossibilitato a venire a Tunisi. L'arcivescovo di Milano ha sottolineato che anche l'occidente si trova a misurarsi con i fallimenti della secolarizzazione e di fronte a una rinascita del sacro e della religione, tanto da rendere necessaria una ripresa della libertà di religione, concepita come il fondamento di tutte le libertà. Per il card. Scola, lo spazio alle religioni, come fondamento della dignità dell'individuo, è un ambito di collaborazione per cristiani e musulmani.
La società moderna segnata da questa apertura all'uomo e alla religione, non coincide con l'occidente attuale. Anzi proprio questo occidente, è stato criticato da Ben Achour e da Zeghal perché ha frenato la "rivoluzione dei gelsomini", appoggiando sempre il dittatore di turno, pur beandosi di discorsi sulla "democrazia occidentale". La rivoluzione in Tunisia - ha affermato Ben Achour - non è stata influenzata dall'occidente, ma è un prodotto "locale": essa mostra che gli uomini sono stati creati per la libertà e di fronte alle dittature che umiliano l'uomo e lo corrompono, sanno sacrificarsi per questi valori. Dietro la rivoluzione tunisina - ha aggiunto Zeghal - "non c'è il complotto americano, ma solo l'impegno dei tunisini. Per questo il compromesso su tutte le tendenze presenti nella rivoluzione avrà successo perché lo vogliono i tunisini".

Vulcano Marsili: nel 2013 via alle trivellazioni

da blitz quotidiano
ROMA – Energia sfruttando il calore generato dal vulcano sottomarino Marsili, al largo della Sicilia: e' l'idea del progetto guidato dall'azienda privata Eurobuilding e condotto in collaborazione con Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Centro di Ricerche e Studi Sperimentali per le Geotecnologie dell'Università di Chieti (Cers), Istituto di Scienze Marine (Ismar) del Cnr e Università Politecnica di Bari. Entro il 2013 inizieranno le prime indagini sulla fattibilita' del progetto, il cui obiettivo e' trasformare il calore generato dal vulcano in una grande centrale di produzione di energia. ''E' un progetto unico al mondo e che punta a produrre entro il 2020 circa 200 MegaWatt di energia elettrica sfruttando il calore dell'acqua che circola all'interno della struttura sottomarina del vulcano Marsili'', ha spiegato uno dei responsabili, Diego Paltrinieri. La struttura, che si trova circa 140 chilometri a Nord della Sicilia, e' considerata una delle zone piu' ricche di giacimenti di 'calore fluido' al mondo: l'acqua che si infiltra nei numerosi vulcani dell'area, nel complesso la piu' grande d'Europa, si surriscalda raggiungendo temperature fra 350 e 400 gradi. Secondo Paltrinieri ''la struttura puo' essere immaginata come un grande bollitore pieno di acqua marina, riscaldato da un fornello a diversi chilometri di profondita' e chiuso da un grande coperchio. Numerose fratture nella struttura permettono la circolazione al suo interno di grandi masse d'acqua''.
Il primo passo, che dovra' essere realizzato entro il 2013 e che ha ricevuto l'autorizzazione da parte del ministero per lo Sviluppo Economico, prevede di realizzare una prima trivellazione del 'coperchio' per verificare le condizioni e la fattibilita' dell'opera. Il passo successivo sara' infine pompare una parte di quell'acqua e utilizzarla, sotto forma di vapore, per mettere in movimento delle turbine per la produzione di energia elettrica. Nel rispondere ai possibili rischi legati alla realizzazione del progetto, Paltrinieri ha spiegato che ''la sicurezza e' garantita da tutte le verifiche del caso effettuate in particolare dai ricercatori di Ingv e dal fatto che nessuna azienda privata sarebbe mai disposta a investire soldi in un progetto se esistessero rischi di qualche forma''.

Lahore, centinaia di cristiani e musulmani in piazza per Asma Jahangir

18/06/2012 11:08
PAKISTAN

di Shafique Khokhar
La famosa attivista pro diritti umani oggetto di minacce di morte. “Ho dedicato la mia vita agli emarginati – sottolinea – e non mi farò intimidire”. La solidarietà di politici, leader religiosi e membri della società civile. Vertici di Ncjp si appellano alle autorità, perché sia garante della sua incolumità. Peter Jacob: “siamo con lei”. 


Lahore (AsiaNews) - I vertici della Chiesa cattolica ed esponenti della comunità cristiana pakistana hanno aderito alla marcia di solidarietà - organizzata dal Comitato congiunto per i diritti umani di Lahore - a favore di Asma Jahangir. Famosa per le sue battaglie a difesa dei più deboli e degli emarginati dalla società, la donna ha ricevuto nei giorni scorsi minacce di morte da frange estremiste del Paese. L'attacco personale contro una persona conosciuta e apprezzata per il suo lavoro ha seminato il panico fra i membri della società civile, gli avvocati e gli attivisti che si battono a favore dei diritti umani in Pakistan. "Ho dedicato tutta la mia vita agli emarginati e agli oppressi - ha sottolineato Asma Jahangir - e se queste minacce sono mirate a farmi chiudere in casa, sappiate che non mi farò intimidire".
Alla manifestazione preceduta da un convegno, organizzato lo scorso 15 giugno all'Aiwan-i-Iqbal di Lahore, hanno partecipato oltre 700 musulmani e cristiani, laici e religiosi, politici di primo piano e rappresentanti di circa 30 organizzazioni e movimenti della società civile tra cui la Commissione nazionale di giustizia e pace della Chiesa cattolica (Ncjp), Women Action Forum e All Pakistan Minorities Alliance (Apma).
P. Emmanuel Yousaf Mani e Peter Jacob, leader di Ncjp, hanno entrambi condannato le minacce e chiesto l'intervento delle autorità per risalire agli autori e garantire l'incolumità della donna. Il sacerdote ha assicurato il sostegno e le preghiere della comunità cattolica, incoraggiando Asma Jahangir a continuare nella sua "nobile causa". P. Mani ha ricordato le battaglie per l'abolizione della legge sulla blasfemia e il lavoro a tutela delle vittime della "legge nera". Gli fa eco Peter Jacob, che rende onore alla "quarantennale lotta per i diritti di tutti i cittadini", in particolare "emarginati e oppressi". "Assicuro ad Ama - ha aggiunto il segretario esecutivo Ncjp - che siamo tutti con lei, e non faremo passi indietro nel momento del bisogno. Siamo pronti a sacrificare la nostra vita per lei".
Alyas Rahmat, giovane cristiano e direttore di Chanan Development Association, afferma ad AsiaNews che "tutti noi attivisti per i diritti umani siamo sotto minaccia e dobbiamo affrontare dozzine di sfide". Il caso di Asma è salito alla ribalta delle cronache internazionali per la "fama internazionale" del personaggio, perché è una donna "coraggiosa e dedita" alla causa ed è "modello e fonte di ispirazioni" per gli altri. Asif Jonaijo, senatore del Balochistan, ricorda le campagne di Asma Jahangir a favore dei "desaparecidos" della provincia e il lavoro a favore della pace e dell'armonia interreligiosa.
(Ha collaborato Joseph Laldin)

Non conosce i nomi dei genitori di Buddha: ragazzo cattolico picchiato da un monaco

 18/06/2012 12:36
SRI LANKA da asianews

di Melani Manel Perera
È accaduto al Mahanama College Getambe di Kandy (Central Province). Amila, 13 anni, ha perso sangue dall’orecchio sinistro, ma non ha riportato danni permanenti. Nonostante la denuncia, la polizia non ha arrestato nessuno. In base allo statuto del Dipartimento per l’educazione, ogni scuola deve garantire a studenti di altri credo il diritto di seguire la propria lezione di religione.


Kandy (AsiaNews) - Picchiato e ferito dal proprio insegnante, il monaco buddista Rahula, perché non ricordava i nomi dei genitori del Buddha: è accaduto ad Amila Tharanga, 13 anni, studente cattolico del Mahanama College Getambe di Kandy (Central Province). L'aggressione è avvenuta l'11 giugno scorso, ma ci sono voluti diversi giorni perché il ragazzo raccontasse l'accaduto ai genitori. Una volta sporta denuncia, però, la polizia non ha mai emesso alcun mandato d'arresto. Amila ha riportato una lesione all'orecchio, che per fortuna non si è rivelata permanente.
P. Nandana Manatunga, direttore dell'ufficio per i Diritti umani di Kandy, racconta ad AsiaNews: "Quando il monaco è entrato in classe per insegnare buddismo, Amila si è seduto in fondo all'aula. L'insegnante però l'ha costretto a sedersi al primo banco e ha iniziato a interrogarlo, ma il ragazzo ha risposto dicendo che era cattolico. A quel punto, il monaco gli ha detto 'Anche se sei un cattolico, dovresti conoscere il buddismo', e lo ha picchiato fino a fargli sanguinare l'orecchio sinistro". Nonostante fosse ferito in modo evidente, nessuno a scuola lo ha medicato. Il monaco e una insegnante lo hanno anche minacciato perché non parlasse dell'accaduto. Quando suo fratello Gashan, anch'egli uno studente della scuola, è venuto a sapere dell'incidente, si è precipitato in classe di Amila, ma il monaco ha minacciato anche lui.
"Quando è tornato a casa - continua il sacerdote - il 13enne era spaventato e si è messo a dormire per il dolore alla testa e all'orecchio, senza dire nulla. Quando alle 7 di sera ha iniziato a vomitare, suo padre P.G. Tilakaratne ha iniziato a chiedergli cosa fosse successo, finché Amila non ha raccontato tutto". La mattina seguente, i genitori hanno portato il ragazzo al Kandy General Hospital, dove è stato subito ricoverato e curato. Il padre ha sporto denuncia il 13 giugno.
Il Mahanama College Getambe è una scuola buddista frequentata anche da studenti cristiani. Il Dipartimento per l'educazione stabilisce che gli alunni di altri credo possono studiare la propria religione. Tuttavia, nella scuola questo non avviene e sono frequenti episodi di punizioni, anche fisiche, inflitte dal corpo insegnante.

Orissa: 50 nazionalisti indù attaccano cristiani. Paura di nuovi pogrom

18/06/2012 11:09
INDIA da asianews

di Nirmala Carvalho
Feriti in modo grave il pastore di una Chiesa pentecostale e 12 famiglie della sua comunità, nel distretto di Balasore. La polizia sequestra esplosivi e dinamite in un altro distretto (Puri) dell’Orissa. Secondo il Global Council of Indian Christians (Gcic), i nazionalisti indù stanno preparando un “piano diabolico” per ripetere le violenze del 2008 in Kandhamal.


Mumbai (AsiaNews) - Un nuovo "attacco brutale" in Orissa, che risponde a un "piano diabolico": così Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), definisce la violenta aggressione perpetrata da oltre 50 ultranazionalisti indù contro Evangelist Baidhare, pastore della pentecostale Prayer Fellowship, e 12 famiglie della comunità. Le violenze sono avvenute nel distretto di Balasore. Secondo il presidente Gcic, l'attacco "vuole gettare nel terrore la minoranza cristiana. Vogliono ripetere quanto accaduto nel 2008, con i pogrom anticristiani nel distretto di Kandhamal". Ad avvalorare questa ipotesi, il ritrovamento di alcuni ordigni artigianali in un altro distretto dello Stato.
Il 15 giugno scorso, un gruppo di nazionalisti indù ha aggredito e ferito in modo grave il rev. Baidhar, 50 anni, mentre tornava a casa nel villaggio di Mitrapur, dopo un servizio di preghiera. Gli aggressori hanno lasciato il pastore sanguinante a terra. Poco dopo, alcuni fedeli lo hanno trovato e portato all'ospedale locale per ricevere le cure necessarie.
Quando gli indù hanno scoperto che il rev. Baidhar era stato salvato, circa 50 di loro hanno attaccato 12 famiglie cristiane, ferendo 20 persone, giovani e anziani, e tentando di violentare alcune ragazze. Non contenti, gli aggressori hanno saccheggiato le loro case. In seguito all'aggressione, molti membri di queste famiglie sono spariti nel nulla, e da allora si sono perse le tracce. Il sospetto è che siano nascosti nella giungla, come success già nel 2008 a Kandhamal. Sajan George spiega che il Gcic di Bhubaneshwar ha scoperto l'accaduto solo il 16 giugno, e da quel momento ha denunciato i fatti alla polizia di Nilgiri.
Qualche giorno prima, nel distretto di Puri (Orissa) la polizia locale di Brahmagiri aveva sequestrato più di 50 bombe artigianali e 12 cariche di dinamite, nascoste in una baracca del villaggio di Gambhari. Secondo le forze dell'ordine, gli esplosivi ritrovati sarebbero serviti per organizzare un nuovo pogrom anticristiano a breve, simile agli attacchi del Kandhamal nel 2008.
Tra dicembre 2007 e agosto 2008, ultranazionalisti indù hanno ucciso 93 persone, bruciato e depredato oltre 6500 case, distrutto oltre 350 chiese e 45 scuole. A causa dei pogrom, nel 2008 oltre 50mila persone, per lo più cristiani, sono state sfollate. Oggi, si contano ancora 10mila profughi. La Chiesa dell'Orissa ha sempre avviato programmi di assistenza e ricostruzione, rivolti a cristiani e indù.

Corea del Nord, più di 200mila persone condannate a morire nei gulag

18/06/2012 11:46
COREA DEL NORD da asianews

di Joseph Yun Li-sun
Secondo la testimonianza di Jo Chung-Hee, ex membro del Partito, convertito al cristianesimo, nei 6 campi di lavoro sparsi per il Paese lavorano leader religiosi (per la maggior parte cristiani) e detenuti politici. Nel 2008 i detenuti erano almeno 900mila, ma la carestia li ha decimati. 


Seoul (AsiaNews) - Almeno 200mila persone sono rinchiuse nei campi di lavoro del regime della Corea del Nord. Di questi, circa il 20 % è di fede cristiana e vive nei campi da più di un decennio. Inoltre, molti dei detenuti non hanno alcuna speranza di uscire vivi da questa situazione, dato che secondo l'ideologia coreana un criminale rimane tale "per almeno 3 generazioni". È quanto emerge dalla testimonianza di Jo Chung-Hee, ex membro del Partito comunista coreano fuggito in Occidente e convertito al cristianesimo.
Secondo i dati in suo possesso, nel Paese sono in attività 6 campi di lavoro. Di questi il più temibile è il Campo 14, conosciuto come Distretto di controllo totale: da questo posto, dove vivono come schiavi almeno 50mila prigionieri, non si può uscire vivi.
Esiste poi il Campo 22, di un'estensione pari a quella di Los Angeles, dove si praticano esperimenti sui prigionieri. Anche qui, i detenuti sono circa 50mila. Infine c'è il Campo 25, gestito dalla polizia segreta, dove sono imprigionati leader religiosi e presunte spie occidentali.
Sono pochissimi, secondo Jo, i nordcoreani che sono sopravvissuti a questi campi. La media delle sentenze imposte ai prigionieri è pari a 15 anni, ma il carico di lavoro e le torture contro i detenuti abbassano la media dell'aspettativa di vita a 7 anni. Nei Campi a volte vengono rinchiuse intere famiglie, che di fatto il regime usa come schiavi per la produzione industriale pesante e per l'estrazione di carbone.
Dopo la Guerra coreana (1950-1953), Kim Il-sung - primo presidente e "padre della patria" nordcoreana - ha deciso l'apertura dei campi di lavoro per tenere sotto controllo, sfruttandoli dal punto di vista lavorativo, i soldati del Sud arrestati nel corso del conflitto. Nel giro di 5 anni, però, i Campi hanno iniziato a riempirsi di dissidenti politici e contestatori: i più colpiti sono stati i leader religiosi e i fedeli, soprattutto cristiani, che si opponevano al regime.
Secondo alcuni dati pubblicati nel 2008, nei Campi erano imprigionate circa 900mila persone. Il calo drastico del numero deriva dal fatto che la carestia del 2009 ha decimato la popolazione carceraria, del tutto ignorata dal punto di vista umanitario dal regime comunista.

Studentesse e sesso a pagamento: la storia (brutta) di Ilaria



Un po' per pagarsi l'università da «fuori sede», un po' di più per vivere al di sopra delle loro possibilità

di STEFANO BLANCO
direttore del Collegio universitario di Milano - 16 giugno 2012

L'ultima volta che ho visto Ilaria è venuta a raccontarmi di aver «quasi finito la sua tesi di laurea; pronta a partire per gli Usa». Una studentessa come molte altre: voti discreti, in regola con gli esami, una mamma svedese, voglia di girare il mondo, grande curiosità, molto bella.
Aggiungo questa notazione perché Ilaria (solo il nome è di fantasia) un po' per pagarsi l'università da «fuori sede», un po' di più per vivere al di sopra delle sue possibilità, più e meno virtualmente si fa pagare (o ricompensare) per le sue prestazioni sessuali, perché, come dice lei, «qualcuno si deve prendere cura del mio tempo».
È un fenomeno in espansione anche nelle nostre università. Tenuto sotto traccia da una certa finta pudicizia tutta milanese. Già acclarato e in parte descritto in molti campus, soprattutto nel mondo anglosassone, ma presente anche in Asia.
Un recente studio condotto in alcune università statunitensi indicava che una ragazza su dieci avesse fatto sesso, almeno virtuale, a pagamento negli anni di studio. Sono soprattutto le prestazione sessuali via Internet in esponenziale aumento. Per molti (più o meno benpensanti) tutta questa storia si deve ridurre a semplice prostituzione e quindi a una prostituta.
Purtroppo o per fortuna le cose sono molto più complesse e questo comportamento va studiato poiché è, anche, lo specchio della città e della civiltà contemporanea in cui viviamo e del distorto rapporto tra corpo e denaro.
Ilaria, come altre, vive un suo avere con molti o moltissimi fidanzati in un susseguirsi di rapporti più o meno brevi e più o meno regolati da regali o denaro, semplicemente in conseguenza del suo trasporto per l'altro o per la generosità del suo partner. Vive tra l'università e la notte milanese che l'accoglie nei sui vestiti scintillanti e firmati dentro i suoi locali più trendy, in un continuo girovagare notturno. Ilaria, come molte sue amiche, è fin troppo superfluo dirlo, non si sente una prostituta, non si sente nulla.
In una liquidità sociale completa e con un'identità mutevole e sovrapponibile, vive questo rapporto con il proprio corpo e con gli altri. Interpreta, anche così, la sua permanenza a Milano come studentessa. Eh sì, difficile da digerire. I paradigmi cambiano. Nessun senso di colpa.
Nelle sue parole anche un sottinteso che racconta come per alcune professoresse o compagne più grandi è troppo appariscente e interessata alle scarpe per essere intelligente. Si tratta innanzitutto di alzare un velo su questo fenomeno e invece di fare finta che non esista, provare a comprenderlo, senza condanne a priori poco utili; continuare a parlarsi, creare un ambiente e una città dove sia possibile per tutti potersi confrontare senza la paura di anatemi morali

Sinai, scontro a fuoco fra esercito israeliano e terroristi islamici egiziani; due morti

18/06/2012 09:01
ISRAELE - EGITTO da Asianews

Si sospetta un atto dimostrativo per celebrare la probabile vittoria dei Fratelli musulmani alle presidenziali egiziane. La sparatoria è avvenuta lungo la barriera fortificata lungo il confine. Gli estremisti sono penetrati attraverso la Striscia di Gaza. Fra i morti un terrorista e un operaio del ministero della Difesa israeliano. 


Gerusalemme (AsiaNews/ Agenzie) - Scontri a fuoco fra soldati israeliani e terroristi islamici si sono verificati questa mattina nei pressi di un cantiere a Be'er Milka, nel Sinai meridionale al confine fra Israele ed Egitto. Nella sparatoria sono morte due persone, un civile israeliano e un terrorista.
Secondo fonti dell'esercito, subito dopo aver oltrepassato il confine con la striscia di Gaza gli estremisti hanno piazzato un ordigno lungo la Philandelphi Route , il passaggio fra la frontiera egiziana e la Striscia.  Scoperti dai militari a guardia del muro, essi hanno aperto il fuoco contro alcuni operai del ministero della Difesa israeliano impegnati nella manutenzione della barriera, scatenando la sparatoria. In queste ore l'esercito sta dando la caccia ai terroristi scampati allo scontro.
La probabile vittoria dei Fratelli musulmani alle presidenziali egiziane, tenutesi ieri, ha messo in allerta lo Stato di Israele, che teme attacchi dimostrativi contro gli insediamenti al confine con l'Egitto. Ieri un razzo Qassam ha colpito il palazzo del Consiglio regionale di Eshkol. Lo scorso 15 giugno, una pioggia di razzi si è abbattuta sugli insediamenti di Ovda e Mitzpeh Ramon a nord di Eliat. Fonti dell'esercito sostengono che gli ordigni sono stati lanciati su ordine di un leader dei Fratelli musulmani.