martedì 31 luglio 2012

Madre di una dissidente cattolica si dà fuoco. Ira e sconcerto fra i vietnamiti

31/07/2012 VIETNAM da asianews

di J.B. An Dang
Dang Thi Kim Lieng si è auto-immolata davanti agli uffici governativi della provincia meridionale di Bac Lieu. La figlia Maria Ta Phong Tan, ex poliziotta convertita al cristianesimo, è in carcere in attesa di processo. Rischia fino a 20 anni di galera per propaganda contro lo Stato. Attivisti per i diritti umani e blogger: accuse pretestuose. 
Hanoi (AsiaNews) - La comunità cattolica vietnamita è sotto shock per la morte di Dang Thi Kim Lieng, madre di Maria Ta Phong Tan (nella foto), famosa dissidente in carcere in attesa di processo e che rischia fino a 20 anni di prigione. La donna si è data fuoco di fronte agli uffici governativi nella provincia meridionale di Bac Lieu, per protestare contro gli abusi delle autorità che tengono in prigione la.

Berlino e Washington vendono armi ai regimi per la "stabilità" nel Medio Oriente

30/07/2012 16:27
GERMANIA - USA - M.ORIENTE - da asianews
 
Il governo tedesco conferma una trattativa per la vendita di carri armati a Qatar e Arabia Saudita. Gli Usa potenziano il Kuwait con nuovi basi missilistiche e radar. Gli investimenti potenziali ammontano a decine di miliardi di euro. Esperti mettono in guardia sul rischio di aumentare le violazioni dei diritti umani e il potere di governi dittatoriali.


Berlino (AsiaNews/ Agenzie) - Germania e Stati Uniti continuano a vendere armi ai loro alleati in Medio Oriente. I Paesi interessati sono Qatar, Arabia Saudita e Kuwait che in questi mesi hanno più volte manifestato interessi per l'acquisto di armamenti, fra cui missili e carri armati. I potenziali investimenti ammontano a diversi miliardi di euro. Oggi, Georg Steiter, portavoce del governo tedesco, ha confermato una trattativa con il Qatar per la vendita di 200 carri armati Leopard 2 del valore di 2 miliardi di euro. A inizio luglio, i giornali tedeschi avevano scoperto una trattativa fra Berlino e Arabia Saudita per l'acquisto di almeno 800 carri armati dello stesso modello con un investimento di 10 miliardi di euro.
Il comportamento del governo tedesco suscita le polemiche dell'opinione pubblica che accusa la cancelliera Angela Merkel di una politica estera a "due facce". Da un lato quella pacifica tenuta nei summit internazionali di Onu e Nato, dall'altro quella favorevole alla guerra e alla vendita di armi a Paesi  che non rispettano diritti umani e libertà religiosa. Lo stessa strategia è portata avanti dagli Stati Uniti. La scorsa settimana gli Usa hanno concluso un affare milionario con il Kuwait firmando la vendita di 60 sistemi di lancio missilistico, la costruzione di 20 basi missilistiche e quattro nuovi centri radar. Nel 2011 Washington ha venduto all'Arabia Saudita armi, fra cui aerei e missili, per un valore di 30 miliardi di dollari.
Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, la cancelliera e il suo staff  premono per concedere armamenti a tutti quei Paesi considerati importanti per la stabilità dello scacchiere medio orientale, e questo per evitare l'invio di soldati in zone ad alta tensione come ad esempio Iraq e Siria. Secondo gli esperti la decisione della Germania si inserisce all'interno di una strategia più ampia per contenere la minaccia iraniana attraverso alleanze strategiche con monarchie e regimi musulmani sunniti.
In molti però si domandano: cosa accadrebbe se tali armamenti finissero nelle mani sbagliate? Markus Kaim, ricercatore dell'Istituto per la sicurezza e gli affari internazionali, avverte sui rischi di questa strategia. Egli spiega che la vendita di armamenti a governi totalitari come l'Arabia Saudita o a fazioni particolari come il caso siriano rischiano di aumentare i pericoli di destabilizzazione. Esempi del fallimento di questa strategia sono l'Afghanistan, dove negli anni '80 la vendita di armi pesanti a ribelli talebani nella guerra contro i sovietici ha aiutato la creazione di uno dei più feroci regimi islamici del mondo. In Indonesia il governo ha utilizzato mezzi blindati e armi pesanti comprate ai governi occidentali, fra cui la Germania, contro i ribelli della Papua occidentale. Il caso più recente riguarda l'Arabia Saudita, che nel 2011 ha inviato truppe e blindati per reprimere le rivolte pro-democrazia esplose nel vicino Bahrain.


venerdì 27 luglio 2012

Danilo Quinto: “così il luciferino Pannella è riuscito a rubarmi la vita”

Da: corrispondenzaromana.it/



(di Stefano Lorenzetto su Il Giornale del 22-07-2012) Il re è nudo. Nudo come quella volta che ricevette un attonito Gaetano Quagliariello, facendosi trovare in ammollo nella vasca da bagno a piagnucolare: «Vorresti dimetterti proprio ora e lasciarmi così? Non ti rendi conto del dolore che mi dai?», e l’attuale senatore del Pdl non riuscì a dire nulla, «capii solo che dovevo sottrarmi e scappare», avrebbe confessato anni dopo.
È devastante il ritratto di Marco Pannella che esce dalle 208 pagine del libro Da servo di Pannella a figlio libero di Dio, scritto da Danilo Quinto, per dieci anni tesoriere del Partito radicale, edito da Fede & Cultura e dedicato alla «più formidabile macchina mangiasoldi della partitocrazia italiana», così il sottotitolo, «una famiglia allargata dove tutto ciò che era privato diveniva anche pubblico, dove ci si accoppiava e ci si cornificava fra di noi, dove il massimo della gratificazione era salutare Pannella baciandolo sulle labbra quando si presentava alle riunioni mano nella mano con l’ultimo dei suoi fidanzati ventenni e lo imponeva come futuro dirigente o parlamentare». Anche Quinto a un certo punto della propria vita ha capito che doveva svincolarsi dall’abbraccio soffocante del suo attempato pigmalione e fuggire.
Alla fine c’è riuscito. Ma a che prezzo: «Tre gradi di giudizio nel tempo record di quattro anni, con una sentenza della Cassazione che, pur riducendomi la pena di oltre la metà e concedendomi il beneficio della non menzione, mi condanna a 10 mesi per appropriazione indebita, consentendo a Pannella di darmi pubblicamente dell’impostore, dell’estorsore e del millantatore. Peggio di Luigi Lusi, insomma».
Il leader radicale dimentica di aggiungere che dev’essere anche un vero cretino, questo Quinto, che dal 1995 al 2005 ha procurato al partito finanziamenti per ben 45 milioni di euro, ne ha maneggiati 19. 651. 357 di entrate e 20. 976. 086 di uscite, eppure si sarebbe degnato di mettersi in tasca solo un misero 0, 32% di questo fiume di denaro, cioè 206. 089, 23 euro, «spese effettuate con la carta di credito, facenti parte del mio stipendio, sulle quali ho persino pagato le tasse, tutte regolarmente contabilizzate, oggetto di ricevute e dichiarate nei bilanci approvati dai vari congressi», ma sulle quali la magistratura in primo grado ha evitato di ordinare una perizia nonostante l’imputato non si rifugiasse nella prescrizione, e sarebbe arrivato a sgraffignare l’astronomica somma di 2. 151, 77 euro nell’ultimo anno in cui era in carica, e oggi è costretto a vivere della sua povertà: «Non possiedo una casa e neppure un’auto, non ho un conto corrente, sono indebitato fino al collo, ho dovuto abbandonare Roma e rifugiarmi nella natia Bari, mantengo la famiglia con un contratto a progetto da 1. 200 euro al mese che scadrà il 31 dicembre, non avrò mai diritto alla pensione». Peccato che Pannella si sia accorto solo dopo vent’anni che il suo collaboratore di fiducia era «un impostore dedito ad attività truffaldina», nonostante la conclamata bravura nel reperire tutti i mesi i soldi per pagare gli stipendi ai 150 dipendenti del Partito radicale.
Una resipiscenza sopraggiunta peraltro solo il giorno in cui Quinto ha avviato una causa per vedersi riconosciuto dai giudici il dovuto, e cioè 6 milioni di euro, poi ridotti a 2: «Vent’anni di lavoro occasionale per 13-14 ore al giorno, senza contratto, senza contributi versati all’Inps, senza ferie, con presenza in sede anche il sabato, la domenica, a Natale, a Capodanno, a Pasqua. Aggiunga il mancato riconoscimento del rapporto subordinato, il mancato adeguamento dello stipendio al ruolo dirigenziale e la mancata corresponsione del Tfr». La causa è pendente davanti alla Corte d’appello di Roma.
Quinto, 56 anni, giornalista, un esame mancante alla laurea in giurisprudenza, s’è persuaso che il re nudo sia la personificazione di Satana e assicura d’averne avuto una controprova il giorno in cui, dimessosi dall’incarico di tesoriere, andò a ritirare le sue poche cose nella storica sede romana dei radicali, in via di Torre Argentina, dove ha lavorato, ma sarebbe più esatto dire vissuto, dal 1987: «Mi ero fatto accompagnare da padre Francesco Rivera, un esorcista. All’uscita mi disse: “Sai, Danilo, ho avvertito molto forte la presenza del diavolo in quelle stanze. Ringrazia Dio che ti ha salvato”».
La salvezza s’è presentata a Quinto con le sembianze di Lydia Tamburrino, un soprano originaria di Cassino cresciuta alla scuola di Franco Corelli, Placido Domingo e Montserrat Caballé, una credente dalla fede adamantina che l’allora tesoriere del Pr conobbe in una villa sull’Appia Antica, a una proiezione privata del film Diario di Matilde Manzoni di Lino Capolicchio, regista col quale la cantante lirica aveva esordito a Lucca in Bohème. «Fu un colpo di fulmine. Quando annunciai a Pannella che stavo per sposarmi, ammutolì. Come osavo? Non avevo chiesto il suo permesso! “È una che conosciamo?”, borbottò. Alla mia risposta, commentò con tono di scherno: “Ah, allora potrà fare degli spettacoli per noi”. Da quel despota che è, già considerava anche Lydia di sua proprietà. Non credo proprio, lo raffreddai. Lì cominciò la guerra per annientarmi».
Profumo d’incenso e odore di zolfo, si sa, non vanno d’accordo. Forse Pannella aveva fiutato il pericolo che quella donna incarnava. Infatti sarebbe stata lei a convincere il marito che non doveva più lavorare per il Partito radicale, a farlo riaccostare alla confessione dopo 30 anni, a riportarlo a messa tutte le domeniche. «Al nostro matrimonio religioso non venne nessuno degli amici con i quali avevo condiviso un ventennio di vita, a parte l’ex segretario Sergio Stanzani, che si presentò all’aperitivo e solo per un quarto d’ora».
Avrà temuto le ire del capo. «Sergio era succube di Pannella. Quando nel 1995 fu deciso che gli esponenti radicali dovevano denudarsi pubblicamente al teatro Flaiano di Roma, era terrorizzato: “Se non lo faccio, Marco non mi candiderà alle prossime elezioni”. Gli consigliai di andarsene in vacanza per evitare il ricatto. Ma il richiamo manipolativo del capo era troppo forte. Che tristezza vedere un uomo di 72 anni nudo in palcoscenico contro la sua volontà, con le mani sul pene, rannicchiato dietro un albero stilizzato. Se ci pensa bene, il corpo è al centro di tutta l’ideologia pannelliana, che vuole decidere come disporne e decretarne la morte, come garantirne la trasformazione nel corso della vita per assecondare le più disparate identità sessuali, come abusarne con sostanze che lo devastano. In una parola, non rispettarlo, consumarlo». I digiuni estremi bene non fanno. «Estremi ma furbi. Il suo medico di fiducia mi svelò che quando Pannella decise di bere la propria urina davanti alle telecamere del Tg2, la sera prima la fece bollire e conservare in frigo per attenuarne il sapore».
In compenso nel 2002 persino il presidente della Repubblica si preoccupò delle condizioni di salute del guru e chiamò in diretta Buona domenica per indurlo a sospendere lo sciopero della sete. «Povero Carlo Azeglio Ciampi! Conservo il nastro di una riunione di partito – c’era questa mania di far registrare tutto, degna del Kgb – in cui Pannella gli dà della testa di cazzo. Un déjà vu. Marco è stato il grande elettore di Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale, salvo definirlo “don Rodrigo, eversore e fuorilegge” quattro anni dopo, invitandolo a “fare un passo indietro, fino al limite della galera”». Se è per quello, costrinse con accuse false il povero Giovanni Leone alle dimissioni e poi andò a chiedergli scusa poco prima che morisse. «Ora coccola Giorgio Napolitano e ne loda “la davvero straordinaria, quotidiana, pubblica, sapiente opera e fatica”. Però negli ultimi giorni ha cambiato musica. Siccome, stando a Italia Oggi, il mio libro avrebbe stoppato la campagna per la sua nomina a senatore a vita, si lamenta a Radio Radicale perché il capo dello Stato non è un liberale, è un ex comunista di cultura togliattiana. Lui fa sempre così: quando vuole ottenere qualcosa, minaccia».
Pannella è iscritto alla massoneria?«Non penso. Però mantiene con essa rapporti strettissimi. Del resto Giorgio Gaber nel monologo L’abitudine diceva: “Io, se fossi Licio Gelli, mi presenterei nelle liste del Partito Radicale”. Il capo della P2 fu sul punto d’essere candidato dal Pr come una qualsiasi Cicciolina. A questo scopo suo figlio Maurizio ebbe una serie d’incontri con Pannella in un albergo romano di via Veneto. Posso testimoniare che Gelli junior è stato un grande finanziatore del partito». Che altro può testimoniare?«Che Radio Radicale ripianava i debiti della Lista Pannella col denaro ricevuto dallo Stato. Non poteva farlo, era contro la legge. Con una convenzione ad hoc e senza gara d’appalto, Radio Radicale dal 1998 incassa 10 milioni di euro l’anno per mandare in onda le sedute parlamentari che potrebbero essere trasmesse gratis dalla Rai. In più la legge sull’editoria le garantisce altri 4, 3 milioni di euro in quanto organo della Lista Pannella, che peraltro non ha eletti in Parlamento.
Ho denunciato tutto questo allo stesso procuratore della Repubblica che mi ha rinviato a giudizio. A tutt’oggi non mi è stata neppure comunicata l’archiviazione dell’esposto. Come se non l’avessi mai presentato». Perché i radicali erano indebitati?«Pannella spende patrimoni per le sue carnevalate. La sola campagna Emma for president del 1999 per candidare la Bonino al Quirinale ci costò 1, 5 miliardi di lire. All’annuncio che Marco voleva la sua cocca sul Colle, lei svenne o fece finta di svenire, non s’è mai capito bene, durante una riunione notturna in un albergo di Monastier, nel Veneto. Ha sperperato un mare di quattrini nel disegno megalomane e fallimentare del Partito Transnazionale, che aveva 20 sedi nel mondo, da Baku, nell’Azerbaigian, a New York, dove mi spedì a lavorare per sei mesi. Fu lì che vidi i solidissimi rapporti esistenti fra la Bonino, frequentatrice con Mario Monti del Gruppo Bilderberg, e lo spregiudicato finanziere George Soros, il quale nel 1999 prestò un miliardo di lire ai radicali. E fu lì che lessi il fax inviato da Pannella alla stessa Bonino quando la fece nominare commissaria europea nel 1994: “Cara principessa, ora tutti s’inchineranno ai tuoi piedi”».
Oltre che spendaccione, che tipo è Pannella?«Un pusillanime. Nell’ultimo colloquio che abbiamo avuto, teneva gli occhi bassi. Riaffermando la mia fede cristiana, riconquistavo la libertà, e questo gli metteva paura. Pur sapendo quale vendetta mi attendeva, ho provato molta pena per lui. Qualche tempo dopo Lydia lo ha incontrato per strada nei pressi di via del Tritone. Pannella le ha voltato le spalle fingendo di guardare le vetrine d’un negozio di strumenti d’acconciatura per donna. E dire che allora non portava la fluente coda di capelli bianchi che oggi tiene annodata lungo la schiena. Non ha avuto il coraggio di girarsi neppure quando mia moglie ha recitato ad alta voce, perché lui sentisse, il Padre nostro e l’Ave Maria».
Solo pusillanime?«Intelligente. Grande manipolatore. Ha attraversato 50 anni di politica italiana stando sempre nel ventre caldo della vacca, la partitocrazia, fingendo d’esserne fuori e di combatterla. La sede vera del Partito radicale è casa sua, in via della Panetteria, vicino alla Fontana di Trevi, frequentata assiduamente dai tre o quattro uomini che ha amato nel corso della sua vita. L’approvazione e l’esaltazione dell’omosessualità e della bisessualità non solo è connaturata al mondo radicale, ma rappresenta lo strumento attraverso il quale si formano le carriere politiche». Eppure cita in continuazione le Sacre Scritture. «E che cosa sa fare il diavolo, se non cercare malamente d’imitare Dio? Da anni usa una sua foto, scattata durante un incontro con Papa Wojtyla al quale partecipavano il dc Flaminio Piccoli e molti altri parlamentari, per vantarsi d’aver avuto un filo diretto con Giovanni Paolo II. Sostiene persino che il Pontefice ascoltava le sue concioni a Teleroma 56. Mi dispiace che Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, sia andato a farsi intervistare da Radio Radicale per confermare quest’amicizia inesistente. Fa il paio con la stoltezza di don Gianni Baget Bozzo, pace all’anima sua, che lo venerava e diceva di lui: “Pannella in realtà è una figura interna alla cristianità italiana, non è un politico: è un profeta”».
Lei sta demolendo la persona alla quale ha consacrato metà della sua vita. «Lo so, e mi considero per questo un grande peccatore, che ha alimentato l’opera di devastazione che Pannella ha compiuto sull’identità cristiana di questo Paese. Ha confuso la libertà col desiderio. Ha portato l’Italia a non distinguere più il bene dal male. Ha distrutto milioni di vite umane con l’ideologia abortista. Per questa ragione combatte la Chiesa. Nella sua intelligenza luciferina, sa che gli sopravviverà». Questo è sicuro. «Prigioniero di un delirio d’onnipotenza, a 82 anni sta evitando i conti con una categoria che non gli appartiene: la morte. Dovrebbe pregare, come fa mio figlio che di anni ne ha appena 7

L’indignazione della Comunità ebraica per il rifiuto del Comitato Olimpico di commemorare la strage degli atleti israeliani



Ieri sera alle ore 20 davanti alla Sinagoga di Torino abbiamo commemorato gli undici atleti israeliani massacrati a Monaco. Sono stati letti i loro nomi, una candela è stata accesa ad ogni nome, e sono state lette le loro storie. Poche parole, certo, ma sufficienti perché quegli uomini entrassero per sempre, perché sapessimo quanti bambini hanno lasciato, perché sapessimo quali di loro erano gli unici superstiti di famiglie, ma forse sarebbe meglio dire stirpi, sterminate dalla Shoà.
1.  David Berger, 28 anni, pesista, nato negli Stati Uniti d’America e recentemente emigrato in Israele
2.  Ze’ev Friedman, 28 anni, pesista, nato in Polonia e sopravvissuto alle persecuzioni razziali
3.  Yossef Gutfreund, 40 anni, arbitro di lotta greco-romana, padre di due figlie
4.  Eliezer Halfin, 24 anni, lottatore, nato in Unione Sovietica, cittadino israeliano da pochi mesi
5.  Yossef Romano, 31 anni, pesista, nato in Libia, padre di tre figli e veterano della Guerra dei Sei Giorni
6.  Amitzur Shapira, 40 anni, allenatore di atletica leggera, nato in Israele, padre di quattro figli
7.  Kehat Shorr, 53 anni, allenatore di tiro a segno, nato in Romania, aveva perso la moglie e una figlia durante le persecuzioni razziali
8.  Mark Slavin, 18 anni, lottatore, nato in Unione Sovietica ed emigrato in Israele nel maggio 1972
9.  André Spitzer, 27 anni, allenatore di scherma, nato in Romania e padre di una bimba di pochi mesi
10.              Yakov Springer, 51 anni, giudice di sollevamento pesi, nato in Polonia e unico sopravvissuto del suo nucleo familiare alle persecuzioni razziali
11.              Moshe Weinberg, 33 anni, allenatore di lotta greco-romana, nato in Israele
Questi uomini erano andati a Monaco a rappresentare non solo il piccolo stato di Israele, ma l’enorme tragedia della Shoà. Il significato della loro presenza non sarebbe stata  la stessa se le Olimpiadi fossero state fatte in un’altra nazione. Erano in Germania, il luogo i cui abitanti avevano considerato gli ebrei, i corpi degli ebrei, degni solo della morte. Questi uomini erano andati a mostrare la loro forza in nome di un popolo che la Germania avrebbe voluto cancellare, in nome di una nazione che un terzo del mondo, ed è il terzo peggiore, vorrebbe distruggere.
Dopo il massacro, mentre le vedove piangevano i loro sposi, i figli i padri persi per sempre, le Olimpiadi non si sono interrotte. Il mondo ha giocato a palla e corso i cento metri sul luogo dove l’ennesimo sangue di ebrei è stato versato sul suolo tedesco.
Queste sono state le parole pronunciate in Sinagoga dal Rabbino  Alberto Moshe Somekh. Nella corrispondenza dei numeri la storia delle origini e quella attuale si saldano, dimostrandoci come ovunque ci sia un disegno che ci indica la strada e ci fa sapere che non siamo dispersi.
:Commemoriamo questa sera gli undici atleti della squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco 1972 a quarant’anni dalla loro tragica fine.  C’è a ben vedere un legame stretto fra la tristissima occasione che ci ha richiamato qui e il calendario sinagogale di questa settimana. Anzitutto perché ci troviamo nei“nove giorni” all’inizio del mese di Av, a proposito dei quali i nostri Maestri hanno sentenziato: “Da quando comincia Av si riducono le manifestazioni di gioia” (Mishnah Ta’anit 4,6) in memoria del Bet ha-Miqdash distrutto. Questo periodo assurge a simbolo della memoria delle numerose tragedie nazionali che il nostro popolo ha vissuto nell’arco della sua lunga Storia, dall’inizio della Diaspora alla cacciata dalla Spagna per limitarci ad alcuni esempi salienti.
Ma non solo. La Parashat Devarim che si legge questo Shabbat esordisce con i versetti seguenti. “Undici giorni ci sono dal Monte Sinai, attraverso il Monte di Se’ir, fino a Qadesh Barnea’. Il primo giorno dell’undicesimo mese del quarantesimo anno dall’Uscita dall’Egitto Moshe disse ai Figli d’Israel tutto ciò che H. gli aveva comandato di dir loro” (1, 2-4). L’analogia dei numeri undici e quaranta è sorprendente!  Rashì commenta che undici giorni sarebbero bastati per coprire il percorso dal Monte Sinai fino ai confini della Terrad’Israele, ma per le note ragioni “vi ha costretto a girare intorno al Monte Se’ir per quarant’anni”!
Ogni vita umana, dice il Salmista, è ke-yom etmòl ki ya’avor, “come il giorno di ieri che passa, … come erba che al mattino fiorisce e cresce e alla sera avvizzisce e secca” (90, 4-5). Ognuno di noi è come il sole, che sorge, raggiunge lo Zenit e tramonta, nostro malgrado, nell’arco della sua giornata. Undici giorni simboleggiano undici vite, tramontate ahimè troppo presto, in modo tragico e assurdo, per mano assassina. Individui che non avevano alcuna colpa, che erano convenuti in Germania per rappresentare lo Stato d’Israel al massimo appuntamento sportivo mondiale, ciò che si proponeva e si propone tuttora di essere, nella mente dei promotori, motivo di fratellanza universale e quindi di distensione internazionale.
Ricordo a questo proposito che il numero undici ha anche un’ulteriore valenza nel calendario ebraico. Sappiamo bene che il nostro calendario è luni-solare. Compensa e concilia in sé i due principi sui quali i popoli del Mediterraneo misurano il trascorrere del tempo: quello dell’anno solare, tipico della tradizione occidentale, e quello dell’anno lunare seguito in Oriente. Sappiamo anche bene che l’anno solare conta 365 giorni, mentre quello lunare 354: la differenza è dunque di undici giorni!
Da sempre la vocazione di noi Ebrei, volenti o nolenti, è quella di fare da ponte fra le due culture. In un periodo storico come l’attuale in cui l’odio fra Occidente e Oriente pare inasprirsi, possa il sacrificio delle undici giovani vite lasciare il segno in una direzione diversa. Giunti alla vigilia di una nuova competizione olimpica c’è solo da augurarsi che prevalga nelle coscienze uno spirito di autentica solidarietà e collaborazione fra le nazioni, nel solco dell’insegnamento, formalmente condiviso da tutti, della Bibbia d’Israel.
Eretz al tekhassì damàm we-al yehì maqòm le-za’aqatam; bi-zkhutàm yashuvu nidchè Israel la-achuzzatam. “Terra non coprire il loro sangue e non vi sia luogo al loro grido. Per il loro merito tornino i dispersi d’Israel al loro possesso”. Come già ci vollero quarant’anni dall’Uscita dall’Egitto perché i Figli d’Israel potessero entrare nella Terra Promessa, anche noi auspichiamo che al compimento del quarantesimo anno  dall’immane tragedia degli atleti di Monaco possano finalmente le loro anime trovare riposo e tutti noi consolazione nella speranza, mai si dica nell’illusione, di un mondo più giusto.
Rav Alberto Moshe Somekh
Nella piazza, tutti insieme, abbiamo acceso le candele e ricordato questi uomini.
Tutti insieme, abbiamo cantato il bellissimo inno di Israele che vuol dire Speranza.
Tutti insieme, ebrei e cristiani abbiamo ricordato i morti e ci siamo anche detti che noi, la gente come noi, noi che amiamo la vita, amiamo Israele, amiamo la pace, costruiremo un mondo dove la vita, Israele e la pace saranno sacri.
Siamo realisti e quindi crediamo nel miracoli
Silvana De Mari

Il 59% degli italiani è contrario al riconoscimento delle coppie gay


(su Uccr del 24-07-2012) Secondo un’analisi del noto sociologo Renato Mannheimer, docente di Analisi dell’opinione pubblica presso l’Università degli studi Milano-Bicocca e collaboratore de “Il Corriere della Sera”, su cui appunto è divulgata la notizia, la maggioranza (59%)degli italiani si oppone al riconoscimento legale/matrimonio delle coppie omosessuali.
Mannheimer, lo diciamo per i militanti della lobby gay che certamente andranno a rovistare nella sua vita privata cercando argomenti per screditare la sua indagine sociologica, è stato militante in gioventù della sinistra extraparlamentare e sposato con l’ex ministro delle Pari Opportunità del PD,“gay-friendly”Barbara Pollastrini. Una persona, dunque, al di sopra dei sospetti.
Di fronte al quesito se riconoscere o meno anche legalmente le unioni – assimilabili ai matrimoni – tra omosessuali, i contrari prevalgono per il 59%, a fronte del 40% di favorevoli. Molto basso il numero dei “non so” che, contrariamente a quanto accade per molti altri argomenti, mostra che la quasi totalità dei cittadini si è, col tempo, formata una precisa opinione al riguardo. La posizione della gente, anche grazie alla furiosa e asfissiante quotidiana campagna omosessualista inscenata sui principali mass-media (radio compresa), è comunque mutata rispetto a sette anni fa, quando i contrari erano il 66% contro 32% di favorevoli.
Per quanto riguarda le fasce di età, le persone più sagge e mature come gli over 65, mostrano una maggiore avversità alle unioni gay (76% di contrari), nella fascia 45-64 anni sono invece contrari il 55% (contro il 44% dei favorevoli), anche tra coloro che vanno dai 24 ai 44 anni i contrari sono ancora una volta maggioritari, con il 51% (contro il 48%). Nei giovanissimi, 18-24 anni, i favorevoli sono in maggioranza per il 51%, contro il 49% di contrari. Rispetto al titolo di studio, il 53% dei laureati è contrario ad aprire al riconoscimento giuridico delle coppie gay.
Tra i cattolici, il 67% dei praticanti è contrario e dunque coerente con la posizione della Chiesa di cui intende fare parte. Inambito politico, tra i votanti per il Pdl, il 63% si dice contrario ai matrimoni tra omosessuali e il 37% favorevole, mentre tra gli elettori del Pd, la lieve maggioranza (53%) è sulla stessa posizione di avversità, a fronte del 46% di favorevoli.
Anche il magistrato iperlaicista Vladimiro Zagrebelsky ha affermato recentemente che «l’introduzione del matrimonio omosessuale, pienamente equiparato a quello tra persone di sesso diverso, trova divisa la società italiana». Ha poi giustamente sottolineato che «è sbagliato ritenere che l’opposizione sia solo di parte cattolica e che su questa come su altre questioni che hanno a che fare con l’etica sociale sia possibile tracciare un confine netto, tra una comunità cattolica e una che cattolica non è o non si sente». Infine, Zagrebelsky ha anche sorprendentemente riconosciuto che «non v’è omogeneità tra il matrimonio cui la Costituzione si richiama e l’unione omosessuale».
Lo scrittore Ruggero Guarini ha invece evidenziato 5 motivi per cui, secondo lui, non legalizzare le unioni gay. In sintesi: 1)solo il matrimonio tradizionale è naturalmente aperto alla procreazione, per questo lo Stato non può non riconoscerli unaspeciale natura giuridica; 2) Il termine “matrimonio” esclude anche etimologicamente gli omosessuali, in quanto esso deriva de “mater”, ovvero l’apertura alla procreazione; 3) Rischio di stravolgimento concettuale di termini come “moglie”, “marito”, “padre” e “madre”, già sentiti come discriminatori verso coloro che non lo possono essere; 4) I problemi pratici e legalipossono essere risolti anche senza l’esigenza del matrimonio, ma attraverso precise misure giuridiche; 5) Politicamente si tratta di una mera strumentalizzazione del movimento gay, che in realtà non è interessato davvero come ha spiegato Imma Battaglia, presidente DigayProject e come evidenziato da un’inchiesta di “KlausCondicio”.
Giuliano Ferrara su “Il Foglio” ha spiegato perché l’estensione del matrimonio tradizionale ai gay non è un fatto di giustizia o di codice civile, mentre il giurista Francesco D’Agostino ha svelato il sofisma per cui si vuole far credere che la legalizzazione del matrimonio gay sia per la tutela di un «privato» interesse di coppia,  mentre il matrimonio ha invece una chiara valenza pubblica e mette in gioco interessi sociali di carattere generale e antropologico.

Gianfranco Amato: internet e pornodipendenza minorile


Da Corrispondenzaromana.it

(di Gianfranco Amato) Si è svolto a porte chiuse il processo davanti la High Court di Edimburgo sul caso di un dodicenne accusato di stupro e abusi sessuali nei confronti di una bimba di nove anni. Il giovane imputato, oggi quattordicenne, si è dichiarato colpevole ed ha così evitato la prigione. Sarà sottoposto ad una lunga riabilitazione sotto stretta sorveglianza. Le particolari circostanze di questo caso non risiedono tanto nella giovane età dei protagonisti, quanto nelle motivazioni che hanno scatenato gli eventi. Il ragazzo ha confessato, infatti, di essere dipendente dalla pornografia online, e di aver iniziato ad abusare della piccola figlia del vicino di casa dopo l’ennesima visione di un filmato hard core. Voleva “sentirsi grande”.
Il dramma è venuto alla luce quando la bambina, accusando dei dolori addominali, ha dichiarato alla madre di temere di avere «un bimbo nel pancino».  Da qui la non facile confessione di quanto accaduto. La polizia ha poi accertato che gli abusi si sono protratti in un arco di tempo dal 1° dicembre 2010 al 31 gennaio 2011. L’avvocato Sean Templeton, difensore del ragazzo, ha parlato della vicenda come della «punta dell’iceberg» di un ben più diffuso fenomeno nel Regno Unito, essendo moltissimi, purtroppo, «i casi non conosciuti, non denunciati e rimasti nell’ombra». Lo scorso 18 aprile 2012 un’apposita commissione parlamentare d’inchiesta, la Independent Parliamentary Inquiry into Online Child Protection, ha reso pubbliche le conclusioni cui è giunta in una relazione finale, in cui sono stati denunciati i rischi d’emulazione e la relazione tra violenza e pornodipendenza minorile.
I dati ufficiali resi in quel documento sono agghiaccianti. Quasi un bambino su tre, al di sotto dei dieci anni, ha visto immagini sessualmente esplicite online, e la stragrande maggioranza dei minori ha libero accesso su internet senza controllo di adulti (si consideri che l’età media del primo contatto col mondo del web è di otto anni in Gran Bretagna), mentre quattro adolescenti su cinque di ambo i sessi, compresi fra i 14 ed i 16 anni, guardano indisturbati a casa propria immagini pornografiche online. Questo è il background che ha portato al triste caso deciso dall’Alta Corte di Edimburgo, in  merito al quale si può aggiungere una considerazione.
Il 7 maggio 1989 il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali emanava un documento intitolato Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione – Una risposta pastorale, analizzava la relazione tra pornografia e violenza: «E’ stato detto che esisterebbe un legame fra pornografia e violenza sadica; un certo tipo di pornografia è marcatamente violenta nella sua espressione e nei suoi contenuti», e «coloro che guardano o leggono produzioni di questo tipo, corrono il rischio di trasferire questi atteggiamenti nel loro comportamento e possono arrivare a perdere ogni rispetto per gli altri, che pure sono figli di Dio e fratelli e sorelle della stessa umana famiglia».
 Ricordo ancora le rabbiose reazioni che seguirono a quel documento, e le consuete accuse ad una Chiesa sessuofoba, incapace di accorgersi del “cambiamento dei tempi”, arroccata nel Medioevo arcaico del suo oscurantismo. Erano quelli i tempi del mito dell’educazione sessuale, dell’emancipazione del porno, e della nudità come ingrediente necessario e indispensabile in tutti i campi dello scibile umano (carta stampata, pubblicità, arte, cinema, ecc.). Oggi i fatti che siamo costretti a commentare confermano quanto fossero profetici, come sempre, gli ammonimenti della Chiesa. Dopo averli contestati ora li condividono tutti, Parlamento inglese compreso. Con ventitre anni di ritardo. (Gianfranco Amato)

Danilo Quinto: il prezzo da pagare alla cessione di sovranità nazionale


Da Corrispondenzaromana.it n.1252

(di Danilo Quinto)  Mentre il Presidente del Consiglio rassicura tutti «i risultati dell’azione del Governo sono lenti, ma costanti» e lancia un appello a tutte le forze politiche di adesione all’Unione Europea (che non si sa più che cosa rappresenti, né economicamente né, tantomeno, politicamente), passano sotto silenzio i dati sulla povertà contenuti nell’ultimo rapporto dell’ISTAT.
La cessione di sovranità nazionale decisa lo scorso novembre a favore della BCE e dell’FMI, sta producendo il dilagare del numero dei poveri. Se ne contano 8 milioni. Di questi, quasi 3,5 milioni lo sono in termini assoluti. Nel Mezzogiorno, si registra un aumento dell’intensità della povertà relativa: dal 21,5% al 22,3%, nell’arco di un anno. Per Marco Lucchini, direttore della Fondazione Banco Alimentare Onlus, intervistato da “Sussidiario.netˮ, «basta un niente per vedere aumentare il numero dei poveri in pochissimo tempo» e mentre «fino a dieci anni fa si lottava per diminuire queste cifre, oggi si fa il possibile per evitare che aumentino».
Nel cosiddetto Decreto Sviluppo è previsto un fondo per distribuire derrate alimentari alle persone indigenti attraverso le organizzazioni caritatevoli. Il modello è il programma di aiuti agli indigenti finanziato dall’Unione europea, che prevede la distribuzione gratuita alle persone bisognose di derrate alimentari, affidata a un gruppo di enti accreditati presso l’Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura. Al fondo finanziato dalla Ue si affianca, dunque, quello istituito dal decreto legge: entro il 30 giugno di ogni anno, sarà adottato il programma annuale di distribuzione.
Si dice che così dovrebbe risolversi, almeno in parte, il problema delle eccedenze alimentari (nella filiera del cibo, si perdono ogni anno 5,5 milioni di tonnellate, per un valore di circa 13 miliardi di euro!). Una bufala, naturalmente, ma così viene propagandata. Non si vuole discutere il ruolo degli Enti caritatevoli e di volontariato. Senza di loro, probabilmente, l’Italia sarebbe crollata da un pezzo. Si vuole mettere in rilievo l’insipienza di questo Governo dei professori e dei tecnici, incapace d’intervenire con misure adeguate e strutturali per soccorrere seriamente le famiglie in difficoltà e che spaccia per sviluppo interventi di pura assistenza. Si capovolge la stessa nozione nobile di politica, quella che Paolo VI chiamava «la più alta forma di carità».
Le chiavi di lettura che vengono proposte della crisi sono solo economiche e questa sola cosa basterebbe per far intendere la catastrofe che classi politiche e dirigenti imbelli hanno prodotto nel corso degli anni. La crisi, invece, è di carattere etico e può essere superata solo restituendo dignità e rispetto alla persona umana, intesa nella sua integrità e identità.
Le barricate nelle città spagnole dei giorni scorsi e le centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato, costituiscono i prodromi di una rivolta sociale e la crisi spagnola ha connotati molto simili a quelli italiani, soprattutto per quanto riguarda la vessazione alla quale viene sottoposto il cosiddetto ceto medio e l’impoverimento sempre più cospicuo di una parte assai consistente della popolazione. Solo chi sembra vivere sulla luna, può non accorgersi di quanto sta avvenendo nel nostro paese e di quanto sia grave il gap culturale tra il nord e il sud, dove più evidenti e devastanti sono i segni di una crisi culturale, generatrice essa stessa di povertà.
In questo contesto, è facile prevedere che nell’arco di qualche mese l’Italia si troverà in una situazione peggiore di quella spagnola, checché ne dicano coloro che sono solo preoccupati dei dati dello spread e non della vita delle persone. Nessuna meraviglia che i cattolici presenti nel Governo non abbiano nulla da dire né soprattutto da fare. (Danilo Quinto)

Alfredo De Matteo: incesto, mostro giuridico o sbocco logico del teorema relativista?


Da Corrispondenzaromana.it

(di Alfredo De Matteo) Il parlamento italiano si appresta ad approvare un disegno di legge che ha come oggetto il riconoscimento giuridico dei figli nati da rapporti incestuosi: in poche parole, il primo passo verso il superamento normativo e culturale del tabù dell’incesto, ancora considerato un reato nel nostro paese ma già depenalizzato in Olanda, Francia e Belgio. La motivazione addotta dai promotori della modifica normativa dell’art. 251 del Codice Civile è la seguente: «la presunta tutela del minore non responsabile della condotta dei genitori e quindi portatore di diritti al pari degli altri».
Ma tale pseudo difesa del più debole appare del tutto strumentale dal momento che è proprio in quest’ottica che il legislatore ha inteso finora vietarne il formale riconoscimento e soprattutto perché altre leggi, come quelle sull’aborto volontario ed il divorzio, calpestano ferocemente i diritti proprio di chi abbisognerebbe di una maggiore tutela e protezione. In ogni caso, è quanto mai opportuno capire i motivi per cui la società civile è giunta a tal punto. Cominciamo col constatare che le cosiddette “conquiste di civiltà” raggiunte negli ultimi decenni da quasi tutti i paesi del mondo, sono consistite nel clamoroso superamento di quei limiti etici e morali che mai erano stati messi in discussione: divorzio, aborto, eutanasia e normalizzazione dell’omosessualità rappresentano delle deviazioni straordinarie dal diritto naturale, che illumina da sempre il cammino dell’uomo sulla terra.
La comune matrice filosofica che sottende e rende inevitabili tutte queste deviazioni dall’ordine precostituito è la negazione dei principi della legge naturale, inscritti nel cuore di ogni uomo. O esiste un codice universale attraverso cui è possibile valutare il comportamento umano oppure tutti gli atti, nessuno escluso, compiuti dagli uomini sono leciti o quantomeno espressioni della cultura propria del luogo e dell’epoca in cui si manifestano.
Nell’epoca in cui viviamo sono numerosi gli esempi di un tale modo di interpretare la realtà: molto di recente ha suscitato lo sdegno delle lobby omosessuali e della comunità dei benpensanti la scoperta dell’inclusione nel manuale dell’Arma dei carabinieri dell’omosessualità tra le degenerazioni sessuali, tanto che il comandante dell’Arma ha assicurato che il manuale verrà corretto nella parte incriminata ed ha tenuto a precisare che le valutazioni di ordine morale in esso contenute sono semplicemente il frutto di un modo di pensare ormai sorpassato dai tempi.
C’è da chiedersi quali espressioni rimarranno del manuale quando, in un futuro ormai prossimo, gli incestuosi, i necrofili ed i zoofili alzeranno la testa e pretenderanno, dati i presupposti filosofici generali, la cancellazione delle loro malsane tendenze dalle degenerazioni sessuali e magari anche il loro avallo giuridico. L’altro grimaldello filosofico che tende a scardinare l’ordine naturale e a puntellare l’ideologia relativista, è il consenso. In poche parole, una volta accertata la natura volontaria dell’atto in ambedue gli autori, esso diventerebbe automaticamente accettabile. In effetti, il principio base che sottende e regola l’intero impianto ideologico su cui si reggono le odierne strutture sociali è l’autodeterminazione: la libertà di scelta è la bussola attraverso cui l’umanità può efficacemente orientarsi e che determina la bontà o meno di un comportamento.
Pertanto, sta di fatto che, volenti o nolenti, una volta accettati i cardini del pensiero debole contemporaneo, ossia l’impossibilità di rintracciare un universale e condiviso sistema di valori al di fuori del tempo, il consenso e l’autodeterminazione come sostituti del diritto naturale, non c’è barriera etica e morale che, prima o poi, non possa essere abbattuta o scavalcata. (Alfredo De Matteo)

Andhra Pradesh, nel tempio indù di Tirumala è legale violare la libertà religiosa

» 27/07/2012 11:43
INDIA da asianews

di Nirmala Carvalho
Un’ordinanza del 2007 vieta la diffusione di altri credo in tutta la zona. Tre cristiani sono stati arrestati con l’accusa di possedere materiale per fare propaganda. Nelle loro case, l’autorità del tempio ha trovato poster e manifesti a sfondo cristiano. Global Council of Indian Christians denuncia l’incostituzionalità del provvedimento.


Mumbai (AsiaNews) - Sulle colline dei templi indù di Tirumala (Andhra Pradesh) è legale "violare uno dei diritti fondamentali della Costituzione indiana: quello della libertà religiosa". È la denuncia di Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), dopo l'arresto di tre cristiani da parte del Tirumala Tirupati Devasthanams (Ttd), autorità che gestisce la zona. Gli uomini sono accusati di propaganda religiosa, un'attività proibita da un'ordinanza del 2007, che vieta la propagazione di altre religioni nei luoghi di culto e di preghiera di Tirumala.
Gli arrestati - Eswaraiiah, Krishnamma e Yasodamma i loro nomi - facevano parte del Ttd, ma sembra che nessuno sapesse della loro fede cristiana. Il 23 luglio scorso, in base a una soffiata, membri della vigilanza del Ttd hanno perquisito le case dei tre, e vi hanno trovato poster, manifesti e altro materiale sul cristianesimo. Gli uomini sono stati subito arrestati e interrogati, con l'accusa di essere coinvolti in attività missionarie. Per il momento, sono stati sospesi dall'organismo con effetto immediato, ma potrebbero andare incontro anche al carcere.
In base al Worship or Prayer Prohibition Ordinance 2007, i trasgressori rischiano fino a tre anni di prigione, oltre al pagamento di una multa di 5mila rupie. La comunità cristiana ha sempre etichettato tale ordinanza come anticostituzionale: oltre a proibire la propagazione di qualunque credo religioso diverso dall'induismo, essa nega anche la libertà di movimento nella zona. Tuttavia, il governo non ha mai accolto alcun ricorso per abolire il provvedimento.
La città di Tirumala sorge su sette colline ed è un'importante meta di pellegrinaggio. Essa infatti ospita il famoso tempio indù Tirumala Venkateswara, il luogo di culto più visitato al mondo, con i suoi 50-100mila pellegrini al giorno. Il Tirumala Tirupati Devasthanams è un organismo indipendente creato nel 1932 per amministrare (non solo dal punto di vista economico) e gestire ogni attività legata al tempio.

Cammino di fede: Messaggio da Medjugorje del 25 luglio 2012

Cammino di fede: Messaggio da Medjugorje del 25 luglio 2012: "Cari figli! Oggi vi invito al bene. Siate portatori di pace e di bontà in questo mondo. Pregate che Dio vi dia la forza affinché nel vostro...

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